Il piano di Putin per mangiarsi la Bielorussia

Lukashenko è sempre più isolato dopo le elezioni farsa di due mesi fa

Marcello Foa

È un rompicapo e da diversi mesi appassiona i russi. Metti un presidente il cui secondo e non rinnovabile mandato scade nella primavera del 2008. Aggiungi i suoi fedelissimi che continuano a pronosticare l’esatto contrario, ovvero che il capo del Cremlino non lascerà il potere. Il più esplicito è il presidente del Senato, Alexander Mironov, che proprio ieri, ha dichiarato «di non riuscire a immaginare il ritiro» di colui che ha definito «leader dell’energia»; immagine più che mai appropriata per il leader di un Paese che, grazie ai petrodollari, ha accumulato riserve per 300 miliardi di dollari. Ma poi torna a Vladimir Putin e ascoltalo con attenzione quando giura che rispetterà la Costituzione. E a questo punto chiediti: come può restare al potere senza modificare la Carta fondamentale?
I russi le hanno immaginate tutte: un putsch istituzionale? Inverosimile. Un’iniziativa spontanea del Parlamento? Non ci crederebbe nessuno; la Duma di spontaneo non ha più nulla, è una docilissima creatura nelle mani del Cremlino. L’elezione di un presidente fantoccio manovrato da Putin? Da non escludere, ma troppo rischiosa: e se il burattino, poi, pretende di comandare davvero? È successo altre volte nella storia di questo Paese, anche di recente: lo stesso Putin all’inizio sembrava una marionetta del clan Eltsin e invece...
La risposta giusta è, verosimilmente, un’altra. E non va cercata a Mosca, bensì qualche chilometro più a ovest, a Minsk; in quella Bielorussia dove due mesi fa si sono svolte elezioni presidenziali palesemente irregolari. Ricordate? Il dittatore Aleksander Lukashenko eletto grazie ai brogli, Putin che lo protegge e si congratula con lui per una consultazione «altamente democratica», i rappresentanti dell’opposizione che per qualche settimana tentano eroicamente di resistere, fino all’intervento risolutore della polizia; tutti dentro, anche il loro leader Aleksandr Milinkevich, rilasciato ieri dopo aver scontato una condanna a 15 giorni di prigione.
Sembrava che Putin avesse ottenuto quel che desiderava: dimostrare agli altri ex Paesi sovietici di poter impedire nuove rivoluzione popolari sostenute da Washington, come quelle rosa di Tbilisi e arancione di Kiev. E il primo a compiacersi era, ovviamente, Lukashenko, persuaso di poter restare in sella per molti anni a venire. Ma poi improvvisamente, ai primi di aprile, l’atteggiamento di Mosca è mutato. La Gazprom, che durante la crisi del gas con l’Ucraina aveva garantito al governo di Minsk forniture a prezzi sovietici, in aprile annuncia a un esterrefatto Lukashenko che dal primo gennaio 2007 avrebbe dovuto pagare il metano a prezzi di mercato, pari ad almeno 145 dollari rispetto ai 45 attuali: il triplo. Un fardello insostenibile per l’economia di un Paese che ha chiuso le porte all’Europa e dipende al 90% da quella russa.
Smarrimento, polemiche e nuove trattative. Per un mese cala il silenzio. Ora il quotidiano Kommersant, solitamente bene informato, rivela che lo scorso 9 maggio il capo del Cremlino ha firmato una direttiva in cui ordina «la fine a qualsiasi forma di sovvenzione diretta o indiretta» alla Bielorussia. Dunque non solo per il gas. Lukashenko è in trappola: non può invocare il sostegno dell’Occidente, che lo ha messo al bando, né ribellarsi a Putin, perché ciò significherebbe la bancarotta. Deve solo accettare le condizioni di Mosca. In fondo non è complicato. Basta una firma e concludere un progetto di cui si parla da anni: l’unificazione di Russia e Bielorussia. È la soluzione dell’enigma: Putin resterebbe al Cremlino in qualità non di presidente russo, ma della nuova Federazione. 2008, l’anno zero della seconda era. Tutto in regola, tutto legale.
E allora si capisce a che cosa alluda il presidente del Senato Mironov quando prevede «che il capo dello Stato troverà il suo posto» e che «potrà esercitare a lungo la sua grande autorità». Fonti anonime, citate sempre da Kommersant, confermano: la strada è quella e Lukashenko, che tenta di resistere, finirà per cedere. Non è l’unico a subire energiche pressioni, di questi tempi.

Ieri il Cremlino ha annunciato il licenziamento di una ventina di alti funzionari dell’intelligence, degli Interni e della procura, tra cui il responsabile delle Dogane e alcuni vice capodipartimenti dell’Fsb, l’ex Kgb. L’obiettivo è nobile: combattere la corruzione. Il metodo tradizionale: l’ukaze, o meglio, una purga, in stile sovietico.

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