Piatti regionali per sostituire i menu etnici

Sandro Medici (Municipio X): «Continueremo a servirli»

Sono stati per settimane il piatto del giorno della polemica politica legata al mondo della scuola. E in queste ore, a parecchie settimane dalla riapertura degli istituti, di menu etnici si continua a parlare con la stessa vis polemica. A riaccendere ancora una volta la carbonella, attirandosi un puntuale fuoco di fila di critiche, è stato il presidente del X Municipio Sandro Medici, che con pepata ironia ha detto: ««Non vorrei provocare mal di pancia al sindaco, ma sento il dovere di informarlo che da noi, in accordo con dirigenti e genitori, si ha intenzione di proseguire questa sperimentazione. E tutto ciò per educare l’infanzia al pluralismo culinario come fattore di crescita culturale, oltre che per contrastare la standardizzazione alimentare che può provocare fenomeni di obesità o peggio di anoressia-bulimia».
Apre a ventaglio tutto il mazzo Sandro Medici, ritiene di non trascurare nessun aspetto, tirando in ballo lo sviluppo non solo della testa, ma anche dello stomaco. Peccato che qualche carta finisca per restare inevitabilmente, magari strategicamente, scoperta: «Forse nella presidenza del X Municipio non arrivano i quotidiani e quindi non si sono potuti aggiornare», ironizza Luigi Camilloni, presidente dell’Osservatorio Sociale, che poi entra nello specifico. «Al Senato - puntualizza - c’è stata l’approvazione all’unanimità di una mozione per il riconoscimento della dieta mediterranea come patrimonio culturale dell’umanità. Chi di dovere dovrebbe riflettere sui significati di questa mozione».
Dieta mediterranea in prima fila per tutti dunque, anche per chi persevera nelle sue convinzioni: «I menu etnici sono stati uno dei fallimenti delle politiche scolastiche della Giunta Veltroni - chiosano in coro Luca Gramazio e Alessandro Cochi, consiglieri del PdL al Comune di Roma - a qualcuno fa gioco dimenticare con quanta veemenza i genitori dei piccoli utenti abbiano protestato all’indomani della somministrazione di questi piatti. Trattarli alla stregua di uno strumento di integrazione significa solamente cercare una scusa per un esperimento che si è rivelato fallimentare e rispetto al quale nessuno ha ancora reso noti i costi». Non è pertanto agevole capire da dove derivi tanta cocciutaggine: dai dati forniti dall’assessorato e frutto di accurate rilevazioni sul campo, i piatti della discordia sono stati scartati da quattro bambini su cinque. Più sensato dunque, anziché muoversi a passo di gambero, sarebbe studiare soluzioni alternative.

Esattamente come fa Laura Marsilio, assessore alle Politiche Educative e Scolastiche del Comune di Roma, che propone la sua ricetta per l’anno che verrà: «Guardando al futuro è nostra intenzione offrire, oltre al piatto laziale, una panoramica dei piatti regionali italiani selezionando tra essi i più adatti al palato dei bimbi». Ingredienti semplici questi, senza nemmeno una spolverata di demagogia.

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