Non è facile rinunciare a tredici autisti stipendiati dallo Stato. Ma Bruno Ferrante lha fatto. Inappuntabile davvero lex prefetto. Tutto dun pezzo, anche quando il 23 maggio 2001 verga questa lettera indirizzata al questore Vincenzo Boncoraglio: «Le comunico che sin da domani il personale della Polizia di Stato addetto alla guida di autovetture in servizio presso questa Prefettura - che è, in verità, in numero di tredici e non di undici - può rientrare in Questura. Per il restante personale, che svolge compiti diversi, ho informato il ministero dellInterno perché provveda alla sua sostituzione con personale dellAmministrazione civile». Certo, il tono è un po acido ma ça va sans dire è umanamente comprensibile: il grand commis di Stato non può tirarsi indietro quando lo Stato gli chiede un sacrificio. E lui lo fa su carta intestata «prefetto di Milano» e firmata con una stilografica blu. Pronta risposta alla lettera del questore Boncoraglio che in data 14 maggio «richiede il rientro nel modo più rapido possibile di dette unità ad eccezione di quelle che svolgono attività di tutela e sicurezza pubblica». Richiesta fatta «sulla base delle direttive impartite dal sig. ministro dellInterno, Enzo Bianco». «A seguito anche di una valutazione in sede di comitato nazionale ordine e sicurezza». «Fermo restando - scrive Boncoraglio in data 14 maggio 2001 - che ogni esigenza o emergenza che comportasse la necessità di utilizzare del personale della Polizia di Stato mi troverà pienamente disponibile sin dora a farvi fronte non appena perverrà, di volta in volta, la relativa richiesta». Tutto bene, quindi, se non fosse per un particolare: il prefetto Ferrante non digerì affatto bene restare «appiedato». Anche se, sostiene che «gradisce camminare per la città», quella decisione poco confortevole impartita dal ministro Bianco fu da lui vissuta come un vero e proprio sgarbo.
Che dalle pagine del Corriere della Sera tradusse in una denuncia: «Vogliono mettermi sotto tutela. Il Viminale mi ha isolato». Virgolettati che riletti oggi - consequenzialmente allo scambio di missive tra Boncoraglio e Ferrante - fanno sorridere, anche perché a togliergli gli autisti è stato proprio quel ministro Bianco di cui, Ferrante, era stato capo di gabinetto al ministero degli Interni. Ma anche perché nelle allusioni fatte in quellintervista sembra dimenticarsi di un dettaglio: nel 2001, a Milano «mancano gli uomini per garantire la sicurezza». Sue parole, sempre al Corriere.
Solo che allappello non mancavano 215 agenti rispetto al 1999, come raccontava Ferrante, ma solo 40 rispetto ai 3.991 allora in servizio: uno scarto pari all1 per cento dellorganico. Anzi, ventisette, visto che tredici erano da Ferrante usati come autisti.
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