Pippo e le sue jeep americane in collina

Pippo e le sue jeep americane in collina

Le fronde degli alberi vengono mosse dal vento mentre l'inconfondibile profumo dei ravioli invade la strada. All'entrata della trattoria «Del Pippo da Ugo», c'è il titolare Giuseppe «Pippo» Corsiglia. Ad oltre 400 metri di altezza, in quel paradiso di tranquillità che è Ognio nel comune di Neirone, si è nel bel mezzo della Val Fontanabuona; ai lati si scorgono i Passi della Scoffera e del Bracco. Davanti al locale è posteggiato il «Jeppone Dodge», un mezzo della marina militare americana utilizzato nel 1943 durante la Seconda guerra mondiale. È uno dei 19 gioiellini che Pippo custodisce gelosamente ad alcune centinaia di metri dalla trattoria. Un vero e proprio hangar sul cui uscio dà il «benvenuto» un cannone Skoda. Un clic al telecomando e le porte del capannone si spalancano. Un viaggio nel passato che lascia a bocca aperta: dalle colline dell'entroterra si sale a bordo dei mezzi americani protagonisti della Seconda guerra mondiale e dei conflitti in Corea e Vietnam. C'è l'ambulanza con la barella, la sacca porta medicine, le coperte e l'orinatoio portabile; il «Gmc» con mitragliatore incorporato; il carro attrezzi Diamond che Pippo è andato a prendere direttamente a Clermont; la Jeep Willys appartenente alla marina militare americana. E poi l'unicità del Dodge canadese consegnato agli inglesi per la guerra d'Africa, transitato dalla Sicilia e arrivato a Genova dove viene lasciato nel 1945.
A fare da contorno ai mezzi ci sono tutte le bandiere delle nazioni che hanno preso parte al secondo conflitto mondiale: una accanto all'altra. C'è anche quella statunitense con le 48 stelle, prima quindi che Hawai e Alaska venissero riconosciuti come Stati americani. Pippo la sfiora, quasi la accarezza: «Un pezzo storico» sussurra. Con i suoi mezzi, regolarmente immatricolati, gira il mondo e partecipa ai vari raduni dei collezionisti come lui: dalla Normandia alla vicina Genova, insieme agli amici, non si nega il piacere di un viaggio alla guida di una Kaiser Jeep Reo M35A2 reduce dalla Guerra nell'isola di Grenada del 1983. Pippo si aggira nell'hangar come fosse un leone nella savana: scandisce i movimenti, si sente a casa e di colpo sembra ritornare bambino mentre si avvicina ai suoi giochi ripercorrendone le avventure. «Questo capannone - puntualizza - è stato costruito appositamente per contenere la mia collezione». Una passione nata tra gli anni '80 e '90 grazie ad un conoscente transalpino. Il primo acquisto è datato 1981: una Jeep Willys M201, un mezzo mimetico francese costruito su licenza americana e utilizzato nella Guerra d'Algeria. Non solo divertimento però. I sacrifici, infatti, sono molti anche perché non tutti i mezzi vengono acquistati in buone condizioni e devono quindi essere restaurati fedelmente. Il pezzo mancante? «L'Half Track - risponde. Un semicingolato che tuttavia non potrebbe circolare». L'amore per la storia parte da lontano: «Da quando sono piccolo - ammette. Fin dai tempi della scuola mi è sempre piaciuta, così come la meccanica».
A seguire le sue orme c'è il figlio Luca, venti anni compiuti da poco, sguardo attento e una grande passione per le moto. Dopo aver studiato alla scuola alberghiera di Lavagna, si occupa con la madre Gianna e Alì della cucina del locale. Già, il locale. Una storia che inizia nel 1856 quando la famiglia Raffetto alza la serranda della bottega di generi alimentari e falegnameria. Poi nel 1902 Luigi Raffetto, detto «Gurìn», dà vita all'osteria; nel 1918 il figlio Pippo apre l'albergo e quattro anni più tardi trasforma l'osteria in trattoria. Durante il periodo fascista nasce Ugo che, insieme alla sorella Tilde mamma dell'attuale Pippo, terrà alta la bandiera della cucina ligure negli anni '70.
Nel locale il ricordo del ventennio è ancora fervido: il bancone del bar in legno di ulivo, realizzato nel 1929 da Pippo, nonno dell'attuale Pippo, mantiene su un lato il fascio littorio complice l'attaccatura al muro che lo nasconde agli occhi più distratti; dall'altra parte, invece, con la caduta del regime il simbolo è stato immediatamente sostituito da un fiore. Durante gli anni del fascismo due avvenimenti cambiano la storia della trattoria. Il primo è il collegamento della frazione di Ognio con la strada carrabile: una novità che permette al locale di essere raggiunto dai clienti in comodità e senza sobbarcarsi una camminata di oltre quattro ore. Il secondo episodio che segna la vita dell'attività è la morte di Pippo, avvenuta nel 1941: l'azienda viene presa in consegna dal figlio maggiore Ugo insieme alle due sorelle, con risultati soddisfacenti. A dimostrarlo, sulle pareti della sala storica, campeggiano le foto dei tanti personaggi famosi che hanno mangiato nel tempio della cucina ligure dell'entroterra: dai calciatori della Juventus a quelli del Genoa; dal ciclista Gino Bartali al maestro violinista Renato De Barbieri; dal senatore Paolo Emilio Taviani al grande Gilberto Govi. E proprio sul fondatore del teatro dialettale genovese, Pippo racconta un aneddoto: «Si faceva portare una porzione abbondante di ravioli e quelli che avanzava se li faceva mettere in un pacchetto per mangiarli la sera. Come era sul palco era nella vita reale», racconta con gli occhi sognanti di chi i ricordi li porta nel cuore più che nella testa. Govi dunque un personaggio: come quella volta che su una sua foto scrisse «Baccere che ravieu!».
Al piano superiore c'è la sala per le cerimonie in stile barocco, progettata dal geometra Corinzio Maggi, nipote di Ugo, e terminata nel 1974; all'esterno una veranda a colonnato affrescata dal pittore genovese Giovanni Battista Semino con le 4 stagioni: i putti con le ali di farfalla e i fiori di pesco per la primavera; l'uva matura per l'autunno; il vecchio, la neve e il fuoco per l'inverno; una donna circondata dal verde a rappresentare la bella stagione. Il tutto corredato dagli stemmi del comune di Neirone, della Fontanabuona e delle famiglie che hanno fatto la storia del locale. La vista che si domina da qui mozza il fiato. Un paradiso, anche se Dante, nella sua Divina Commedia, inserisce la meraviglia di questo paesaggio nel diciannovesimo canto del Purgatorio: «Intra Siestri e Chiavari s'adima una fiumana bella, e del suo nome lo titol del mio sangue fa sua cima», scrive il poeta toscano estasiato dall'unicità del territorio. «È dedicato proprio a questa zona - rivela Pippo -. Siestri era un piccolo borgo poco più in alto di Ognio e non è Sestri Levante come appare invece in tutte le traduzioni». Orgoglio letterario che la famiglia ha voluto far riprodurre sulla parete della veranda insieme allo stemma dei Fieschi.
Pippo è davvero un vulcano in ebollizione, si muove come fosse una trottola impazzita. E le sorprese sono sempre dietro l'angolo. Perché ogni volta che gira la chiave, tira la maniglia e apre la porta, ti fa entrare in un universo parallelo: più di milletrecento cavatappi, che vanno dalla fine del 1700 ai giorni nostri, sono disposti ordinatamente su due tavoli. Una collezione ereditata dallo zio Ugo che raccoglie numerosi pezzi rari. «I migliori erano quelli inglesi - afferma Pippo - c'è poco da fare. Poi quelli francesi e quelli italiani». Il motivo? «Beh - gli inglesi non avevano le botti e quindi dovevano comprare per forza le bottiglie. I francesi, come noi italiani, producevano il vino ma avevano una mentalità più imprenditoriale e quindi avevano una maggiore necessità di cavatappi». Ha girato l'Italia e l'Europa per trovarli e adesso li mostra fiero in una stanza già ribattezzata come il «regno del vintage». Una ne pensa e mille ne fa; apre un cassetto e vanta i riconoscimenti ricevuti negli anni: «Le posate d'Oro» conferite dall'Accademia della Cucina Italiana nel 1974 e «Il Cuoco d'Oro» tre anni più tardi gli fanno luccicare gli occhi. Poi ecco le dediche lasciate dai politici partecipanti al pranzo di gala tenutosi in occasione dell'inaugurazione della galleria Bargagli-Ferriere nel giugno del 1971. Ancora qualche passo. Uno sguardo alle foto storiche della sua famiglia e poi tra una pila di album ecco uscirne uno in cui c'è la dedica lasciata dallo chef Luigi Carnacina: «Conoscere Ugo? Frequentatelo! Le sue specialità sono degne di alta devozione gastronomica! Hanno convinto tutti i miei amici del Club del Buongustaio, ed io ne sono sinceramente orgoglioso, perché mangiar bene è stato sempre il mio grande desiderio».
Scendendo le scale un'altra collezione lasciata dallo zio: in vetrina, questa volta, ci sono decine e decine di coltelli da formaggio. Un museo più che un locale, ma gli aromi che si dipanano tra i corridoi fanno tornare alla realtà. Qui il tempo sembra essersi fermato. La pasta fresca viene fatta a mano e così il pane, ogni mattina. La cucina è a chilometro zero: frutta, verdura, erbe e funghi provengono dai campi vicini; conigli e uova dall'allevamento di famiglia. Ricette scritte a mano e tramandate nel tempo, come quel «budino del prete» cioccolato e anicini cotto al forno i cui segreti sono stati svelati da un curato locale alla bisnonna di Pippo. I ravioli, il fritto misto e le lasagne al pesto sono le specialità che appagano i desideri del palati. Il prebugiun è preparato con un soffritto particolare a base di pancetta. «Un tempo - rivela - mio nonno produceva lui stesso l'Arsaiga, un vino bianco locale che è poi andato scomparendo negli anni». Tempi lontani in cui si era falegnami, albergatori e bottegai nello stesso momento. Pippo fa parte della quarta generazione e non smette di ricordare i sacrifici iniziati dai suoi bisnonni con quella semplicità che appartiene solamente alle persone umili. Dopo la chiusura della parte destinata ad albergo, avvenuta nel 1970, ha voluto aprire un Bed and Breakfast. «Dal 2008 sono a disposizione quattro stanze, in passato utilizzate dai miei avi - spiega Pippo. Abbiamo soprattutto turisti stranieri che vogliono godersi la nostra regione, lontano dalle grandi città e a diretto contatto con la natura». Da pochi mesi, inoltre, la trattoria è entrata a far parte dei locali storici: «Una soddisfazione enorme» esclama gonfiando il petto.

Il prossimo passo è realizzare una locanda. Il suo sogno nel cassetto? Che il figlio Luca prosegua la tradizione di famiglia. Il ragazzo, testa sul collo e stesse passioni del padre, sembra essere sulla strada giusta: il futuro è già cominciato.

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