Pisacane, gli stranieri vogliono il tetto al 30%

Pisacane, gli stranieri vogliono il tetto al 30%

Il limite del 30% alle presenze di alunni stranieri in una classe? Niente di meglio per imparare presto l’italiano e favorire l’integrazione.
A pensarla in questo modo non sono né il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini né altri esponenti del Pdl, ma i genitori di alcuni scolari stranieri del «Carlo Pisacane». Ovvero, l’istituto romano della Marranella, balzato agli onori delle cronache nazionali per la massiccia presenza di bambini stranieri, pari al 97 per cento del totale. Dove l’insegnante di religione, quest’anno, rischia di avere un solo alunno in tutta la scuola.
A riferire questo paradosso tutto italiano è l’Ansa: su 16 famiglie intervistate (di cui 15 straniere), ben 14 si sono dette favorevoli alla proposta annunciata di recente dalla Gelmini e in programma a partire dall’anno prossimo. In barba a quanti si stracciano le vesti al sentir parlare di classi-ghetto, gridando alla discriminazione (se non al razzismo) di fronte ai provvedimenti presi in esame da viale Trastevere. Contro i quali, già da ieri, è ripresa la mobilitazione dei precari, insegnanti e personale Ata.
Neanche a dirlo, tra i contrari al limite del 30% c’è una mamma italiana, che ritiene inesistente il problema della lingua. Di tutt’altro avviso Lavli, del Bangladesh, che sostiene «sarebbe meglio se ci fossero molti più bimbi italiani in classe», perché suo figlio «imparerebbe meglio l’italiano».
Per Raul, ecuadoriano, «è giusto stabilire un limite, ma a patto che ci sia sempre posto per gli stranieri». Giudizi obiettivi, che secondo il deputato del Pdl Fabio Rampelli confermano in pieno l’attuale fondatezza di disagi ambientali e scolastici nelle classi fortemente multietniche.
Fa eccezione Bimla, madre di un bambino indiano della prima elementare, che ritiene non cambierebbe nulla. «Mio figlio ha frequentato per tre anni la scuola dell’infanzia qui al «Pisacane». Le maestre sono molto brave, ha imparato presto a parlare la vostra lingua. E poi tra gli alunni stranieri si parla l’italiano», anche a causa della massiccia presenza di idiomi differenti.
Ma come è andato il primo giorno di lezioni in via Policastro, nell’anno del ritorno al maestro unico, dei cortei studenteschi dell’Onda e dei bambini anti-Gelmini? Lo abbiamo chiesto ad alcuni piccoli studenti all’uscita di scuola.
Luigi, prima elementare, il suono della campanella lo ricorderà soprattutto per la scelta del compagno di banco: «Siedo accanto a Mohammed, un bambino egiziano. Ero un po’ emozionato, mi sembra tutto così nuovo». Liu invece, cinesino della quinta, il primo giorno di scuola l’ha saltato: la sua famiglia si è trasferita da poco nel quartiere, e la madre non è ancora riuscita a fare l’iscrizione per impegni di lavoro. Ma il bambino non ha resistito alla curiosità di avvicinarsi ai suoi futuri compagni.
Nafiz, invece, è un alunno bengalese della prima media. Nato in Italia, è uno straniero della cosiddetta “seconda generazione“. Racconta di aver frequentato le elementari al «Pisacane», in cui gli italiani erano «pochini».

Ora invece i numeri sono ribaltati, ma lui dice di non avere alcun timore di integrarsi. Proprio come molti genitori, italiani e non, «soddisfatti e orgogliosi del carattere multiculturale» di una scuola definita «a misura di straniero».

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