da Milano
«Per favore, non mi chiami papaboy». Inizia così la conversazione con Matteo Spicuglia, 27 anni e un sogno di diventare giornalista che lo spinge a frequentare a Torino un master sull'argomento e ad aver aperto, da tre anni, il sito www.korazym.org, testata on line «ispirata all'insegnamento del Santo Padre, per la fratellanza universale». Il sito è nato in seguito all'esperienza delle giornate mondiali della gioventù.
Pare che tra i giovani ci sia voglia di spiritualità?.
«Magari tra i banchi delle chiese non si contano molti volti giovani. Ma non dobbiamo dimenticare il numero di ragazzi che si raduna per le giornate della gioventù. È una testimonianza di una profonda realtà di fede».
La religione rinasce solamente grazie agli eventi di massa?
«Questa è la percezione mediatica. Si dimentica che tutti i ragazzi che partecipano a queste adunate compiono un lungo percorso di riflessione: negli ultimi anni si sono creati tanti gruppi giovanili cattolici attivi in Italia. È un lavoro che definiscosotto traccia, poco evidente. Ma c'è».
Come giudica il rapporto tra i suoi coetanei e la Chiesa?
«L'idea di una preghiera individuale, al di là delle istituzioni, è molto diffusa tra i ragazzi. Pesano pregiudizi nei confronti della Chiesa e il motto più frequente è: Io credo, però».
Che cosa si può fare per eliminare quel «però»?
«I giovani procedano oltre i luoghi comuni e la Chiesa cerchi un dialogo con gli under 30: è necessario incontrarsi a metà strada».
È lì che stanno i papaboys?
«Noi siamo come tutti gli altri. La fede è un modo di guardare al mondo, non una militanza».
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