Pochi docenti e aule strapiene: la qualità degli atenei va a picco

Nelle migliori università degli Usa c’è un professore ogni 5 o 7 iscritti, a Milano in media ogni 42

Statale o Cattolica o, perché no, in trasferta alla Sapienza? La scelta dell'università è spesso dettata da fattori contingenti (vicinanza, costi). Poco ci si interroga sui reali «plus» di un ateneo. Del resto i dati disponibili per farsi un giudizio sono di difficile interpretazione, pensati non per lo studente-consumatore, ma per un pubblico di «addetti ai lavori». Eppure da altre parti del mondo, grazie alla cultura del ranking, l'informazione è rivolta direttamente agli utenti.
Le classifiche
Secondo una delle più accreditate, «il Times Higher Education Supplement», nessun ateneo milanese è degno di entrare nella top 200 internazionale (ci rifacciamo con il Master in Business Administration della Bocconi che il Wall Street Journal ha decretato tra i 20 migliori al mondo). Più benevola, l'Università di Shanghai Jiao Tong premia l'Università degli Studi con il 142° posto e il Politecnico con il 337° (!). Perché questa severità? C'è evidentemente qualche dato non gradito. Uno di questi è il rapporto tra il numero degli studenti e quello dei docenti. Più questo valore si assesta verso il basso, più dovrebbe garantire qualità di insegnamento. Secondo una meritevole elaborazione del Sole24Ore (novembre 2005) le università italiane hanno mediamente 24 alunni per insegnante (nei sette principali atenei milanesi la media è di 42). Tanto per chiarire, a Princeton o Harvard, cioè il top, si scende a 5 o 7. Numeri a vantaggio solo dei pochi che frequentano Agraria alla Cattolica e che stridono se paragonati alla Facoltà di Scienze della Comunicazione dello Iulm con i suoi 128 studenti ogni professore. Nella media degli atenei milanesi, poi, questo istituto occupa l'ultima posizione (1/117), mentre la situazione più rosea è al San Raffaele (1/17). A giustificazione, va specificato che nella graduatoria non vengono conteggiati i docenti a contratto, cui spesso le università private ricorrono. «Bisognerebbe distinguere tra università generaliste e specialistiche, tra statali e private - precisa il rettore dello Iulm Giovanni Puglisi -. Noi non possiamo bleffare e dobbiamo sempre tenere l'occhio sul conto economico».
«È un problema di allocazione funzionale delle risorse umane - afferma Andrea Cammelli direttore del consorzio Almalaurea che comprende 48 università italiane -. Ci sono dei corsi che strabordano di iscritti e altri non sono più frequentati, perché magari la moda è passata e l'entusiasmo iniziale è scemato. Per una corretta valutazione - aggiunge - io guarderei però anche ad altri fattori: quanti hanno potuto fare studi all'estero, per esempio, l'offerta di stage. Per avere certi dati, uno studente deve fare, però, dei tour de force. Le sue esigenze cozzano con tante torri d’avorio che custodiscono gelosamente la documentazione».
Chi valuta?
Chi vuole cimentarsi in queste difficili gimcane di cifre può provare sui siti del Miur (www.miur.it/ustat/) e del Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario (http://nuclei.cnvsu.it/), che però ha dati incomprensibilmente meno aggiornati. Le informazioni sono pensate, comunque, per un'utenza di «addetti ai lavori». Migliori scoperte si fanno sul sito di Almalaurea (www.almalaurea.it). Per esempio, che nel 2005 allo Iulm si sono laureati in Lingue, secondo il vecchio ordinamento, 187 studenti e hanno impiegato mediamente 9 anni! Eredità di un passato che si paga ancora oggi, visto che in Italia 62 su 100 conseguono il titolo fuori corso. Gli elementi per valutare un ateneo, dunque, non mancano e se ne potrebbero aggiungere altri: dal numero delle pubblicazioni dei docenti, al tempo impiegato per trovare lavoro una volta laureati. Serve però qualcuno in grado di selezionarli ed elaborarli come standard di qualità.
La creazione di un bollino blu, auspicata da alcune associazioni imprenditoriali, lascia perplessi i consumatori. «Dividere le università di serie A da quelle di serie B è rischioso» dice Marco Donzelli del Codacons.

«Una sorta di “doc” europea sarebbe una provocazione salutare - suggerisce Lucia Moreschi del Movimento di Difesa del Cittadino - anche se eventuali “disciplinari” andrebbero stilati con attenzione». Nel frattempo il ministro dell'Università Fabio Mussi ha ipotizzato l'istituzione di «un’agenzia di valutazione che controlli tutto il sistema, non solo i docenti».

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