
Un contributo originale per commemorare Eugenio Montale nel centenario dell'uscita di Ossi di seppia è sicuramente dato dal libro di Adriana Beverini intitolato L'Oltre: Eugenio Montale tra filosofia, fisica, religione (Il ramo e la foglia edizioni, pagg. 109, euro 15). È un saggio agile che non ha pretese né posture accademiche, ed è frutto invece di una autentica passione dell'autrice, che è anche l'inventrice del Premio Montale fuori di casa, e di una sua intuizione che riguarda lati meno conosciuti ed esplorati del grande poeta genovese. Primo tra tutti: quali sono stati i rapporti tra l'autore degli Ossi di seppia e la grande rivoluzione nel campo della fisica dovuta ad Einstein all'inizio del secolo scorso, e proseguita da scienziati come David Bohm e Niels Bohr. Sicuramente la nuova fisica relega nel passato la visione newtoniana di uno spazio stabile e oggettivo, dove regnano i rapporti di causa ed effetto, per sostituirvi una realtà in movimento, un unicum di materia, tempo e spazio.
I primi a mettere in discussione la concezione newtoniana furono poeti, il grande visionario William Blake, il genio universale di Wolfgang Goethe, per cui la natura è un flusso di energia che va da un punto sconosciuto a un altro inconoscibile. Ora la visione della relatività einsteiniana e della fisica quantistica sembra rimettere in gioco proprio le intuizioni della poesia. In una lettera alla sorella Marianna, studentessa di filosofia e suo punto di riferimento culturale, Montale scrive nel 1917: «Io sono amico dell'invisibile e non faccio conto che di ciò che si fa sentire e non si mostra, e non credo e non posso credere in tutto quello che si tocca e che si vede». C'è qui già in nuce la poetica degli Ossi, dove da un lato appare una natura pietrificata, con continui emblemi di aridità e di esaurimento, mentre dall'altro affiora la visione di una realtà imprendibile, di un vuoto cosmico che soltanto al poeta è concesso scoprire: «Forse un mattino andando in un'aria di vetro, / arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo: / il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro / di me, con un terrore da ubriaco». Il rompersi dell'equilibrio compatto delle cose e della materia, l'irrompere del vuoto, la sensazione che la realtà vera non sia quella che si vede, il tempo che diventa un'attesa, il muro che ha in cima «cocci aguzzi di bottiglia» e separa da una verità ormai relativa e impossibile: questo clima poetico è sicuramente vicino a quello della nuova fisica.
In una Intervista immaginaria del 1946, Montale scrive: «Io sono stato un poeta che ha scritto un'autobiografia poetica senza cessare di battere alle porte dell'impossibile. Non oserei parlare di mito nella mia poesia, ma c'è il desiderio di interrogare la vita». Desiderio di interrogare la vita e mito sono in realtà molto connessi nella poesia, che in questo non è affatto in contrasto con la scienza nelle sue espressioni più recenti. La ricerca di Adriana Beverini si impegna poi a rintracciare i punti in cui Montale parla apertamente della scienza e mostra con chiarezza di aver coscienza delle sue scoperte. Ciò accade soprattutto nell'opera tarda del poeta, quando, con Satura, ha dismesso la sua potente maschera metaforica e metafisica e adotta un linguaggio più disteso, lineare, quasi illuministico, che una volta Pietro Citati definì di eleganza pariniana. Ed ecco tutti i riferimenti espliciti alla nascita dell'universo, al Big Bang, al vuoto, al nulla, al vacuo, rintracciati con precisione: «Se l'universo nacque / da una zuffa di gas / zuffa, non zuppa ». Ironia e disincanto sono la nuova, perfetta cifra di Montale. Ecco i versi di Satura scritti dopo l'allunaggio del 1969: «Ho contemplato dalla luna, o quasi, / il modesto pianeta che contiene / filosofia, teologia, politica, /pornografia, letteratura, scienze / palesi o occulte. Dentro c'è anche l'uomo, / e io tra questi. E tutto è molto strano». Un altro punto toccato nel libro è quello dei rapporti tra Montale e Calvino a proposito della scienza. Calvino si dichiarò sempre lettore e ammiratore di Montale, è stata ritrovata di recente una sua poesia giovanile che sembra davvero un calco montaliano. In una fase della sua vasta e multiforme opera narrativa scrisse romanzi improntati alla scienza, Le Cosmicomiche, Ti con zero. Montale li conobbe. E anzi nel 1965 recensì Le Cosmicomiche sul Corriere della Sera con benevolenza e con forza di intuizione e penetrazione. L'universo del poeta, fatto di vuoto, di emblemi del nulla, senza certezze, dove la «divina indifferenza» fa pensare non al disinteresse egoistico ma al mistico distacco dal mondo della saggezza indù e del Buddhismo, spinge l'autrice a porsi domande sulla sua religiosità. Viene riferita e discussa la argomentata versione dovuta a Cesare Cavalleri di un ritorno di Montale all'alveo del Cattolicesimo nei suoi giorni finali in una clinica milanese. Restano i versi di Satura: «Tutte le religioni del Dio unico / sono una cosa sola: variano i cuochi e le cotture».
Al netto dell'ironia corrosiva, resta l'idea
che «tutte le religioni sono come tanti fiumi che portano allo stesso mare». Il gran mare dell'essere, che la poesia e la scienza, nei loro momenti più alti, come questo libro ribadisce, non hanno mai smesso di indagare.