Forse Il Fatto Quotidiano ha confuso il "Sì" finale dell'inno di Mameli col "Si" finale del referendum sulla giustizia, e ieri mattina ha sparato la presunta notizia in prima pagina: "Il Colle taglia l'urlo all'Inno". Significava, semplicemente, che una circolare militare aveva stabilito che il "Sì!" finale (un'aggiunta che nell'originale non c'era) andava escluso perlomeno nelle cerimonie ufficiali. Poi ovviamente il Fatto ci ha costruito un romanzo distopico, con Giorgia Meloni che complottava per silenziare il patriottismo e lo Stato Maggiore che diffidava gli italiani dal pronunciare un monosillabo: l'articolo era scritto peraltro da Marco Lillo, un collega moderato che in genere scrive di Dell'Utri e di trattative.
Prima traduzione: il Quirinale e le Forze Armate hanno semplicemente detto "nelle occasioni istituzionali si canta la versione originale" e stop, poi negli stadi si potrà continuare a urlare "sì", no, evvai e daje: non ci saranno arresti.
Seconda traduzione: non è successo niente e il Fatto ci ha aperto la prima pagina, con l'aggiunta di 5.812 battute didascalie comprese. Terza traduzione: siccome la grave censura dell'Inno ha fatto breccia ed è stata ampiamente ripresa da altri media (anche da noi, ora) significa che è Natale e che, secondo gli stessi media, ci sono poche notizie, a parte qualche guerra e una manovra finanziaria. La prima dimostrazione di quanto sia farlocca la presunta notizia è che l'inno nazionale, proprio ieri, è risuonato a Palazzo Chigi durante la cerimonia di auguri di Giorgia Meloni ai dipendenti (cantato dagli Alpini) e che l'esibizione si è conclusa con il "Si" finale: smacco a Mattarella.
Se c'è stato un golpe, dunque, c'è già stato anche un controgolpe restauratore. L'hanno fatto gli Alpini. I lettori sono avvertiti: se non dovessero uscire i giornali, domani e dopo, significherà che sta accadendo qualcosa, ma siam pronti alla morte.