Toni alti e furibondi nella affollata chat «Rinascimento e Dissoluzione», che nacque timida e sommessa nel febbraio del 2020 e che ho ampliato fino a popolarla di 512 protagonisti il giorno della nomina di Gennaro Sangiuliano a ministro della Cultura. Frequenti gli incidenti, non rare le estromissioni da parte di uno dei due amministratori: Morgan. Facile ad avere la mosca al naso, irritabile. L'altro sono io, che annetto, coopto, riammetto. Uno fra tutti appare disturbatore: è Giancarlo Politi, inventore della rivista Flash Art che, in più di 50 anni di vita, ha promosso, rivelato, nascosto migliaia artisti, pittori, fotografi, molti transeunti, altri consacrati dal mercato internazionale ma non i soli e non sempre i migliori, nonostante l'autocelebrazione di Politi.
Oggi Politi ha 85 anni e si descrive come un nonno che si occupa del nipotino con l'orgoglio di essere il capostipite di una fortunata dinastia: «Di me rimarrà per qualche tempo, sino a che mia moglie non si stanca, una piccola urna con le ceneri. È qui, già pronta sullo scaffale dei libri. Per me conta solo l'hic et nunc. Non conta il passato, non conta il futuro. Ho cercato sempre il meglio dell'arte e della vita. E ci sono riuscito, almeno secondo i miei parametri. Sono stato bravo e fortunato. E determinato. Non ho alcun rimpianto né ambizione. Faccio il nonno felicemente e talvolta mi diverto a interloquire con personaggi come te che cerca di credere di aver fatto qualcosa in arte. Rileggiti La volpe e l'uva. Io invece ho procreato una figlia, Gea, che continua il mio lavoro meglio di me e che l'Economist ha inserito tra le cento persone più autorevoli del mondo dell'arte. Poi fra vent'anni entrerà in scena mio nipote Lev, allora tappatevi le orecchie perché vi assorderà. Per quanto mi riguarda ho fatto ciò che ho voluto senza subire mai alcuna ingerenza, ho una moglie bellissima che è stata determinante per il mio successo, una figlia brava e vicina a me. Del nipote ho già detto. Dalla vita ho auto anche troppo. Aspetto solo una morte la più serena possibile. È tutto amico mio». Ma non sempre è così serafico e pacificante. Spesso afferma le sue verità incontrastabili e manifesta una irriducibile antipatia per Morgan, virtuoso animatore della chat, e pieno di amici e sostenitori. Dice: «Ma perché dovrei apprezzare Morgan quando non mi piace come musicista? E come uomo è un analfabeta, nel senso etimologico. E come conduttore è un Censor (come facevano i nazifascisticomunisti). Mi volete contrastare? Con un camion? Io da intellettuale vi controbatterò con un sorriso perché trovo la vostra chat divertente... Sono cresciuto come intellettuale».
Questo il Politi intellettuale. Alla lettura, lancia in resta, Morgan lo cancella. E io lo riammetto. Mi piace il vigore della polemica e non vorrei soffocarla. Si agitano Alisa Toaff ed Ezio Zani. Io non voglio che la polemica si spenga, ma Camilla Speranza mi accusa: «Vittorio stai distruggendo il gruppo facendo ritornare nuovamente G. Politi. Non stiamo facendo una bella figura». Quali sono le colpe più gravi del vecchio Politi, oltre al disprezzo per Morgan, per molti intoccabile? L'aspro scontro con un critico d'arte tanto sensibile quanto sfortunato nella vita, preso di petto da Politi, Alessandro Riva: «Alessandro, tu sei stato già oggetto di studi psichiatrici. Quindi non ti esporre troppo ché potresti cadere. Ma possibile che nessuno di voi ha il senso dell'ironia? Ma come fate a vivere senza autoironia? Nemmeno Vittorio Sgarbi che deve la sua notorietà al Costanzo Show e alla sua invettiva contro il maestro con cui studiava. E oggi, parlando di arte getta dei nomi a caso che nemmeno lui conosce e che sono stati tutti epifenomeni locali. E ha vissuto di gloria urlando senza dire nulla, virtù eccelsa ma di cui ricordiamo solo Capra Capra. Ecco il suo epitaffio. E poi accusano me di insulti i due angioletti dell'avanspettacolo. Tu, Alessandro Riva, hai sempre dimostrato di avere in arte la sensibilità di un pollo allo spiedo, tu Vittorio, intelligenza eccelsa, hai preferito l'avanspettacolo al lavoro serio di ricercatore. E invece di fare mille cose male, come hai sempre fatto, come Sottosegretario cerca di farne una buona realizzando un catalogo digitale delle nostre opere d'arte nei musei, perché tra qualche anno tutti i cocci saranno polvere, come la mia tra qualche anno e di cui è pronta una piccola urna di dieci cm.».
Ed ecco che vengo coinvolto anche io. Naturalmente gli rispondo. Io so quanto Politi è ignorante. Ma lui non lo nasconde. È convinto di essere superiore, di sapere cos'è l'arte contemporanea che, per lui, è un mondo a parte. Il passato non conta, non esiste. Fa tenerezza. Nel fiume incontenibile che travolge il sensibile pittore Di Pinto (non è un gioco di parole), Politi scrive: «Morgan, una volta la censura era comunista (lo è ancora), fascista, nazista. Ora invece la censura si chiama Morgan. Ma non ti vergogni caro Morgan a tenere una chat solo di amici che ti applaudono (applausi che mi ricordano Trilussa). Le chat sono curiose quando qualcuno ti contesta, soprattutto ad alto livello (chiedi a Sgarbi che malgrado tutto è il meno disonesto): Sgarbi ti dirà quale è stato il mio ruolo, opposto al suo, ma non marginale con l'arte contemporanea. Checché tu ne possa pensare, la mia rivista Flash Art ha rappresentato il riferimento sull'arte contemporanea in Italia e nel mondo, dal 1970 al 2000. E questo lo hanno scritto Time e Newsweek, che allora non erano la Gazzetta di Mondovì. E ancora oggi, cambiata, continua a fare tendenza. Certo non si trattava dell'arte dei tuoi lettori, però erano i protagonisti delle grandi aste, mostre, musei, collezioni. E questo Vittorio lo sa bene, perché ha sempre cercato di osteggiare l'arte che io seguivo. Lui ha sempre osteggiato l'Arte Povera, la Minimal Art, la Transavanguardia, Cattelan, Vezzoli. Ha apprezzato solo De Dominicis perché la sua pittura rimandava ai classici. Per il resto le sue scelte sono aberrazione pura. Brutte copie della storia dell'arte. Che a me divertivano, facevano ridere. Spero che con l'arte classica (che conosce) sia meglio. Vittorio è molto intelligente (anche in politica) ma poi si circonda di yesmen come Morgan che rovinano tutto».
Io rispondo: «È singolare che Politi rivendichi libertà e indipendenza e poi rifiuti di capire il talento di Morgan perché lo contesta, non accettando la sua egemonia, come fecero le avanguardie contro la tradizione accademica. Politi si nasconde dietro l'ipse dixit di Flash Art. Avversa la libertà di Morgan, propria dei veri artisti, in forza del suo dogma. Intanto è vissuto senza Freud e López Garcia, credendo alla sua setta, la Scientology dell'arte contemporanea». Politi ignora che gli artisti sono individui, e che il successo è aleatorio. Van Gogh ebbe assoluto insuccesso; Tinguely gran successo, ed è sparito. I grandi sono solitari e fuori da ogni regola. Politi non li capisce. Non si è mai occupato di Balthus e di Giacometti, di Gnoli e di Freud. Gli piacciono gli artisti facili.
Politi ha un colpo di coda: «La bellezza si afferma da sé. Infatti la Merda di Manzoni è un capolavoro anche di bellezza. Ma chi ha occhi per vederla?». E io gli spiego: «La Merda di Manzoni non è un capolavoro, è una provocazione». È così ignorante Politi che non sa che gli artisti sono individui. E scambia per «epifenomeni» gli artisti espressione della grandezza della provincia. Non ce la fa, e insulta, con il suo moralismo, scambiando per caso le necessità della Storia. Non sa chi è Francesco del Cossa, perché non ha mai studiato. Scambia la comunicazione, che è un'arte, con l'avanspettacolo, che c'era ai suoi tempi. Non sa niente, niente. Dimentica che Michelangelo e Raffaello sono nati in provincia. Io ho fatto solo il ricercatore, ma lui vede le apparenze, perché ha la mente ottenebrata dal moralismo. Che usa contro l'innocente Riva evocando come un nazista la psichiatria. Perché non lo dice di Van Gogh e di Schiele? O di Genet, che non conosce? Parla di ironia e non la conosce. Parla con l'autorità di chi ha fatto il cameriere del mercato. Io ho fatto mille cose bene, e lui parla a vanvera di musei che non visita, invocando un catalogo digitale che non consulta e che c'è da anni. Meglio conoscere un capolavoro di Piero della Francesca, nato in provincia, che consolarsi di un catalogo che si finge di consultare. Tutto sbagliato, da parte di chi ha scambiato la moda con la ricerca. E parla di «ricerca vera» che non ha mai fatto. Io, con la ricerca, ho molto trovato.
Che malinconia la rivendicata ignoranza del povero Politi. Lui è contento così. E i nomi di López Garcia, di Gnoli, di Freud e di Giacometti non sono a caso. Sono troppo grandi per stare nella sua piccola mente, che è già in cenere ora. L'urna non serve. Basta un portacenere.
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