Politica economica

La Bce ha riempito le casse fino all'orlo, l'Italia può smarcarsi dall'attacco sul Mes

Il fondo di risoluzione destinato alle banche in crisi raggiunge l'obiettivo di 78 miliardi

La Bce ha riempito le casse fino all'orlo, l'Italia può smarcarsi dall'attacco sul Mes

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«Quelli eran giorni, sì, erano giorni», canteranno in coro magari fra qualche anno le banche, così commemorando il 2023 dai profitti d'oro e la favorevole appendice del '24, quella benedetta dal non dover cacciare più un euro per il Fondo di risoluzione unico, detto anche Single resolution board (Srb). La lieta novella è stata data ieri dal presidente dell'Srb Dominique Laboureix: «Abbiamo chiesto alle banche circa 10 miliardi all'anno per gli ultimi otto anni. Ma ora sono contento di annunciare al settore bancario che non emetteremo una richiesta di contributi per l'anno in corso».

Tanto entusiasmo sembra però mal conciliarsi con gli alti lai sentiti in occasione della bocciatura italiana alla riforma del Mes. In caso di crisi bancarie, il rinnovato format prevede infatti un intervento del fondo salva Stati attraverso lo strumento della ricapitalizzazione, anche se solo dopo l'attivazione del salvataggio lacrime e sangue (bail in) con cui, di fatto, si azzera sia il capitale (con perdita secca da parte degli azionisti), sia le obbligazioni (con perdita secca dei possessori di bond).

Nella faccenda i punti da evidenziare sono due. Il primo riguarda la pressione esercitata, non solo da Bruxelles, sul governo Meloni affinché venisse ratificato il Mes. Anche con lo scopo - si precisava - di dotare il settore del credito di un paracadute supplementare. A quanto pare, stante il «a posto così» di Monsieur Laboureix, non c'era tutta questa fretta. Soprattutto in un anno già reso delicato dall'entrata in vigore delle nuove regole del Patto di Stabilità e a causa del pantano in cui annaspa il regime comune di garanzia dei depositi, con i conti correnti sopra i 100mila euro ancora chiamati a rispondere delle perdite della banca.

Il secondo punto, meno politico e più tecnico, riguarda la consistenza del Fondo di risoluzione. Ci sono voluti ben otto anni per mettere assieme un «tesoretto» di 80 miliardi scarsi, prelevati in base alla passività di ciascuna delle banche europee. In tempi di vacche grasse, questi quattrini semplicemente non servono; quando invece le cose si mettono male, sono palesemente insufficienti. E i venti contrari potrebbero presto soffiare se si rivelerà puntuale l'analisi della presidente della Bce, Christine Lagarde, secondo cui la redditività degli istituti rischia di subire un duro contraccolpo con l'aumento dei costi di finanziamento e il peggioramento della qualità e dei volumi di credito.

I recenti casi del Credit Suisse e delle istituti regionali Usa dimostrano che le cifre da mettere in gioco sono ben altre e che solo gli interventi delle banche centrali sono risolutivi e in grado di allentare le tensioni economico-finanziarie derivanti da potenziali crisi sistemiche. Anche con l'uso di mezzi discutibili, tipo la salvaguardia degli azionisti adottato dalla Banca nazionale svizzera a danno degli obbligazionisti.

In Europa, dove la mutualizzazione dei debiti sovrani resta un tabù, si è invece preferito mutualizzare i dissesti bancari con la potenza di fuoco di un fucile ad aria compressa.

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