Politica economica

Banche a rischio? Meglio vendere? Il crack Svb spiegato in 5 punti

Il fallimento della Silicon Valley Bank sta allarmando il mondo intero e ci sono contorni non del tutto chiari. Cerchiamo di fare un po’ d’ordine rispondendo a cinque domande cruciali

(Foto: Sede della Silicon Valley Bank, Santa Clara, California. Foto @ https://commons.wikimedia.org)
(Foto: Sede della Silicon Valley Bank, Santa Clara, California. Foto @ https://commons.wikimedia.org)
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Il fallimento di una banca locale americana, la Silicon Valley Bank (Svb), sta provocando uno tsunami che è arrivato anche in Europa, bruciando 291 miliardi sui mercati.

Le domande sono tante, formulate sia da investitori esperti sia da risparmiatori anche piccoli, preoccupati per quanto potrebbe succedere nel prossimo futuro.

Abbiamo già fornito dei dettagli in più, ora proviamo a comprendere lo scenario che si è venuto a creare e quello che si può prospettare dando risposta a cinque domande cruciali.

La crisi Svb è colpa della politica monetaria?

Non più di quanto un coltello sia il responsabile di un omicidio. La Silicon Valley Bank ha fatto incetta di obbligazioni – soprattutto buoni del Tesoro americano - quando i tassi erano negativi o prossimi allo zero, contando così su rendimenti più alti sul lungo periodo. La politica monetaria della Federal reserve (la Fed, la Banca centrale Usa) ha contribuito a rendere questi investimenti meno redditizi rispetto ai bond di nuova emissione.

A questo elemento si aggiunge che Svb, non potendo garantire rendimenti adeguati a quelli di mercato, si è trovata nella situazione in cui i titolari dei risparmi (startup innovative) hanno voluto prelevare il proprio denaro per investirlo diversamente. Svb, senza sufficiente liquidità per fare fronte alla richiesta della propria clientela, ha dichiarato fallimento.

La politica monetaria ha quindi avuto un peso, ma Svb si è in qualche modo accoltellata da sola, non diversificando i propri investimenti e non reagendo quando, calcolatrice alla mano, le è apparso chiaro che i bond Usa stavano generando una perdita di circa 1,8 miliardi di dollari.

Ora le banche sono a rischio?

No. La Banca centrale europea (Bce) è persino accusata di essere troppo ossessiva nel controllare le banche ed è fuori misura credere che l’onda d’urto della Svb possa attraversare con violenza l’Oceano.

La domanda giusta è un’altra: i titoli bancari possono subire il contraccolpo? Sì, e lo stanno subendo. Ma da qui a parlare di fallimento ce ne vuole. I titoli bancari hanno sofferto delle irritazioni emotive degli investitori. È vero che nelle ultime ore hanno traballato un po’ ma si tratta di un comparto solido che, in Europa, negli ultimi sei mesi ha guadagnato il 20%, ossia un muro tanto solido da non potere essere scalfito dalle scosse di assestamento del terremoto Svb che è un sisma tutto americano.

Meglio vendere le azioni in portafoglio?

Questa è forse la domanda più ricorrente tra gli investitori. Un economista che risponde “dipende” si salva sempre: prima di reagire di pancia vale la pena attendere scansando le crisi di panico. Una volta vinto l’istinto a salvare il salvabile occorre considerare che i titoli più esposti sono quelli bancari e quelli tecnologici. I primi hanno perso terreno durante la giornata di ieri e i secondi (e qui ritorna il “dipende” citato sopra), a Milano, non sono tantissimi.

Per fare un esempio, Stmicroelectronics, è stabile nel momento in cui scriviamo e se è vero che ieri ha perso il 2,11%, negli ultimi sei mesi ha guadagnato il 24% circa. Vendere o no? Dipende da cosa diranno le prossime ore.

Chi invece ha investito in Btp può notare da sé che non c’è di che preoccuparsi. Questo dimostra che non occorre cedere all’ansia e alla fretta: i Btp italiani stanno bene nonostante Svb si sia lasciata mettere in crisi dai bond americani.

Perché si parla di “allarme contagio”?

Perché, per quanto minimo, in assenza di prove concrete è un rischio da tenere in considerazione. A dire il vero sarebbe opportuno intersecare questa remota eventualità con le intenzioni della Bce di acquistare meno titoli di Stato europei (quindi anche italiani).

Per l’Italia questo significa trovare investitori per 18 miliardi di euro l’anno (1,5 miliardi al mese) e questo può mettere il debito sotto la lente degli investitori. Il clima di sfiducia rischia di penalizzare il mercato dei bond di Stato. Gli acquisti a opera della Bce hanno permesso di attutire i danni della pandemia e della guerra Russo-Ucraina.

Ora cosa farà la Bce?

Resta il nodo delle politiche monetarie e la Bce sta dimostrando di non essere molto brava nel leggere le situazioni in tempo reale. Probabilmente la Bce in futuro sarà più cauta nel rialzare i tassi, anche se il prossimo ritocco verso l’alto dello 0,5% dovrebbe essere confermato.

Sarà necessario osservare quanto questo ulteriore intervento ricadrà sull’economia continentale.

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