
Carlo Maria Cipolla dava una definizione perfetta del cretino: è colui che reca «un danno ad un'altra persona o gruppo di persone senza nel contempo realizzare alcun vantaggio per sé o addirittura subendo una perdita». Dal punto di vista economico i dazi sono cretini. Le nostre imprese esportatrici avranno un danno, senza che i consumatori americani ne possano godere un beneficio. Difficile contestare la follia dell'imposizione dei dazi, ma si può certamente cercare di capire come avremmo dovuto negoziare per minimizzare la cretinata. Ci sono, come è ovvio, pareri molto discordanti su come sia finita la trattativa sui dazi imposti dagli Stati Uniti all'Europa. In un ridicolo ribaltamento dei giudizi, la presidente della commissione è stata definita «un'incapace» e «incompetente» per aver ceduto a Trump, proprio da coloro che tanto l'avevano apprezzata fino a ieri. Dall'altra parte viene compresa, anche se sottovoce, proprio da coloro che hanno sempre criticato la gestione comunitaria. A ciò si aggiunga una prospettiva critica più globale. Molti economisti americani, di formazione conservatrice ma anche liberal, considerano pericolosa, dal punto vista economico, la politica dei dazi americana e, dunque, criticano l'accordo. In Europa esso viene criticato dagli economisti per motivi speculari: danneggerà le imprese europee. Districarsi in questa giungla di opinioni e di valutazioni tecniche, tutte autorevolissime e spesso discordanti, è complicato. Per di più ogni giudizio sembra, come è normale, figlio di un pregiudizio politico: «W Trump», «abbasso Trump» e così via. Negli anni '50, quando il problema erano i missili e la deterrenza nucleare, alcuni economisti cercarono di inserire un po' di razionalità nelle questioni geopolitiche, inventando la teoria dei giochi e rendendola più semplice con il cosiddetto dilemma del prigioniero: si cercava di analizzare le interazioni tra diversi soggetti in uno scenario di conflitto. Sintetizziamo il dilemma per i non addetti ai lavori. Due prigionieri vengono interrogati, non sapendo cosa uno dica dell'altro, dopo un crimine. Davanti a loro hanno tre alternative: entrambi tacciono, solo uno parla (tradisce) e l'altro tace, entrambi parlano e si tradiscono. Se entrambi tacciono, e dunque collaborano, si beccano un anno di carcere a testa, non vi è la prova provata dello loro colpevolezza. Nella seconda opzione chi parla e tradisce non va in galera e il secondo prigioniero, che viene tradito e sta zitto, si prende 5 anni. Se entrambi parlano, si accusano e si tradiscono reciprocamente, si prendono tre anni ciascuno.
La morale di questa favoletta è che la migliore scelta collettiva, sottolineiamo non individuale, è cooperare e non tradire: il totale del carcere è di due anni. Se entrambi si tradiscono, se ne beccano 6: peggiore scelta collettiva. Se uno dei due tradisce l'altro, il carcere totale va a cinque anni.
Come applicare, dunque, il dilemma del prigioniero (immaginandolo come un gioco cooperativo e che non punti alla massimizzazione individuale) alla nostra storia dei dazi? Beh, il crimine che è stato commesso, sono i dazi. Fatto, realizzato. A questo punto ci sono due prigionieri. Il primo, che ha alzato i dazi; il secondo, che li sta subendo, ma che a sua volta secondo gli americani (e Mario Draghi) ne impone. Ma poco importano qua le responsabilità. È proprio questo il senso della teoria dei giochi. Secondo lo schema della teoria dei giochi e del dilemma del prigioniero, America e Europa hanno cooperato nell'accordo (ripeto, lasciate perdere le ragioni, le questioni di giustizia, le implicazioni etiche e i vostri pregiudizi politici) e si beccano collettivamente la pena più bassa. Se l'Europa avesse tradito l'America (usando controdazi, come molti auspicavano) si sarebbe verificato lo scenario peggiore per il Dilemma (sei anni di carcere). Se l'Europa non avesse trattatom ma accettato la prima imposizione di dazi del Liberation day, sarebbe andata decisamente peggio. C'è un ulteriore elemento, decisamente più complicato dal punto di vista della tecnica della teoria dei giochi, che riguarda la cosiddetta ripetizione del gioco. E, vedendo i comportamenti di Donald Trump, e soprattutto la sua scadenza naturale al termine del mandato, c'è la possibilità che il gioco si possa ripetere con condizioni diverse da quelle esistenti. In questo senso, il costo dell'accordo, che abbiamo visto essere più ragionevole rispetto alla non cooperazione, potrebbe scendere ulteriormente in caso di cambiamento dei rapporti di forza.
Dal punto di
vista strettamente economico (ripetiamo, non politico o morale) il comportamento europeo, per la teoria dei giochi, si considera razionale e, per di più, volto a massimizzare la propria utilità cumulata nel lungo periodo.