Quello dell'ex Ilva, ora Acciaierie d' Italia, è un «pasticciaccio brutto». Che conferma la difficoltà del fare impresa in Italia. E adesso dopo anni di travagli, tentativi di rilancio, interventi della magistratura, di amministrazione straordinaria, siamo arrivati a una situazione di totale impasse. Acquirenti privati non se ne vedono proprio per le conclamate controindicazioni. Le quali non hanno fatto altro che contribuire in misura decisiva a depauperare quella che è stata la prima acciaieria in Europa, un hub strategico dell'industria italiana. Per responsabilità di una certa politica incapace di decidere e di una mentalità «green» utopica e fuori dal mondo.
Acciaierie d'Italia, secondo più report, perde circa 70/80 milioni di euro al mese. La produzione è ai minimi termini. Un vero salasso. Ho letto e sentito invocazioni affinché Acciaierie d'Italia venga nazionalizzata. In questo Paese mai si abbandona la tentazione pericolosa dello Stato imprenditore. Come se le lezioni del passato, anche recenti, continuino a non insegnare nulla. D'altronde, ai sostenitori di tali formule importa solo che la mano pubblica metta le mani su tutto. A costoro è inutile spiegare che la nazionalizzazione di un'impresa in enorme sofferenza (sempre sbagliato in regime di libera concorrenza) significa appesantire il l'italico debito pubblico che già non gode di buona salute. Con la conseguenza inevitabile di un aumento della pressione fiscale per i cittadini/contribuenti. La strada virtuosa non può essere questa. Tocca al decisore pubblico insistere per trovare una soluzione realistica.
Non è semplice, tuttavia una risposta che apra a una possibile risalita può venire solo dal mercato. Altrimenti non resta che la chiusura definitiva con la doverosa ricollocazione delle maestranze.www.pompeolocatelli.it