Negli ultimi anni il fenomeno delle false fatturazioni e dell’evasione Iva ha assunto proporzioni preoccupanti, soprattutto in alcuni settori economici. All’Erario mancano 15 miliardi di euro, poco meno di un settimo degli oltre cento miliardi di evasione annua. Un nostro lettore, Brunelli, che professionalmente si occupa proprio del contrasto a questi fenomeni, ha avanzato una proposta volta a contrastare queste pratiche fraudolente attraverso l’introduzione del meccanismo del reverse charge, un sistema già adottato in alcuni ambiti specifici.
L’analisi
Le operazioni di contrasto all’evasione fiscale e contributiva sono caratterizzate da un pattern ricorrente: spesso, infatti, si tratta di cittadini stranieri residenti in Italia che omettono completamente i versamenti Iva sul conto fiscale, generando un danno significativo per l’Erario. Molte di queste aziende utilizzano prestanome che vengono sostituiti ciclicamente, mentre la gestione reale resta nelle mani di soggetti non formalmente individuabili. Un ulteriore aspetto critico riguarda l’uso di fatture per operazioni inesistenti per abbattere il debito Iva, un meccanismo che ricorrentemente viene registrato dai media locali che danno maggiore risalto alle operazioni condotte da Finanza e Forze dell’ordine.
Per ovviare a questa situazione il nostro lettore propone di applicare il meccanismo del reverse charge obbligatoriamente nei settori tessile e calzaturiero (caratterizzati da elevati livelli di evasione ma non soggetti alla reverse charge come l’edilizia e la sanità), o comunque per aziende con titolari o amministratori extracomunitari. Con questo sistema il committente riceverebbe una fattura senza Iva e sarebbe direttamente responsabile del versamento dell’imposta, eliminando così la possibilità di evasione da parte del fornitore.
Le obiezioni della Cgia di Mestre
La Cgia di Mestre, interpellata in merito, ha replicato alla proposta con un’analisi approfondita della normativa vigente, sollevando alcune criticità di carattere normativo e giuridico. Limiti imposti dalla Direttiva IVA 2006/112: Il reverse charge rappresenta una deroga al principio generale per cui l’Iva è dovuta dal soggetto che effettua la cessione del bene o la prestazione del servizio. Tale meccanismo può essere adottato solo nei casi espressamente previsti dalla Direttiva Europea, che limita l’applicazione del reverse charge a specifiche categorie di beni e servizi.
Impossibilità di applicazione su base nazionale senza autorizzazione Ue: L’introduzione del reverse charge per settori non contemplati dalla direttiva richiederebbe una specifica autorizzazione della Commissione Europea. La Cgia nutre dubbi sulla possibilità di ottenere tale autorizzazione, in quanto il criterio proposto da Brunelli sembra basarsi sulla nazionalità del titolare piuttosto che sulla tipologia di transazione.
Necessità di un procedimento formale: Qualsiasi estensione del reverse charge deve essere supportata da una richiesta formale alla Commissione Ue, che dovrà valutarne la conformità alla normativa vigente. La direttiva prevede solo due modalità di deroga: una richiesta ex art. 395 per contrastare l’evasione in modo strutturale, oppure una misura temporanea ex art. 199-ter per affrontare situazioni di emergenza fiscale.
Conclusioni e prospettive
L’analisi di Brunelli ha il merito di aver portato all’attenzione un fenomeno di evasione fiscale diffuso e altamente dannoso per l’Erario. Tuttavia, le obiezioni della Cgia di Mestre evidenziano come l’applicazione del reverse charge richieda un percorso normativo complesso e un’approvazione a livello europeo.
Se si volesse perseguire questa strada, sarebbe necessario raccogliere dati approfonditi e presentare un’istanza ben documentata alle autorità comunitarie, dimostrando che la misura non introduce discriminazioni e che rappresenta una soluzione efficace e proporzionata per contrastare il fenomeno evasivo. Altrimenti, occorrerà individuare alternative più facilmente attuabili a livello nazionale.