
Giammaria Giuliani è l'erede della famiglia che partendo nei primi anni del secolo scorso da una piccola farmacia a Milano, vicina al vecchio Lazzaretto, costruì un impero, il cui pilastro principale, negli anni Sessanta, fu il celeberrimo «amaro medicinale Giuliani». Ora Giammaria è un imprenditore di gran successo e detiene il 5% della banca Rothschild. Parliamo con lui di Milano.
Se la ricorda Milano di quando lei era bambino? Jannacci, Vecchioni, Strehler? Ma poi c'era il terrorismo e la grande mala.
«Sì me la ricordo. Ma ero piccolo. Io sono nato nel 1978. L'anno clou del terrorismo, col sequestro e poi l'uccisione di Aldo Moro. Le città allora erano blindate. C'erano guardie dappertutto. E poi i cortei del sabato sera».
C'era anche la malavita comune, c'erano i rapimenti..
«Non è che io capissi bene quello che succedeva. Ero protetto da guardie del corpo».
Si sentiva diverso dagli altri bambini?
«Tutte quelle precauzioni mi stupivano un po'».
Le piaceva Milano?
«Sì, ho splendidi ricordi. Unico rammarico non vedere insieme i miei genitori che si sono separati quando avevo solo un anno».
Un ricordo su tutti..
«Il Milan di Berlusconi, le Coppe dei campioni, Gullit e Van Basten».
Mai avuto un motorino?
«Sì, a quattordici anni. Vinto stappando il tappo di una coca cola. Giravo per Milano, mi sentivo libero. Milano era ricca, luccicava, era vicina all'Europa, come diceva Lucio Dalla. Forse era un po' troppo ricca. Lussi esagerati, troppo ostentati, soldi che giravano a velocità eccessiva».
I suoi genitori cosa dicevano?
«Mi ricordo benissimo mio padre quando mi disse: Vedrai, questi non andranno lontano».
Suo padre era diverso dagli altri imprenditori?
«Testa bassa e lavorava. Diceva che non basta la finanza a far girare il mondo. Bisogna faticare, produrre».
Milano da bere?
«Mio padre pensava che Milano fosse prima di tutto da lavorare. Mi ha insegnato questo. E se proprio avessi dovuto bere qualcosa, l'amaro, rigorosamente Giuliani (ride)».
La sua famiglia ha avuto un ruolo in quella Milano a cavallo tra Ottocento e futuro
«Ha spinto la Milano produttiva e attenta al domani».
Andiamo avanti: arrivano gli anni '90.
«Arriva la calma, il divertimento, la stagione violenta è finita. Ma dura poco, irrompe il ciclone. Arrivano Borrelli, Di Pietro. Si scatena l'inchiesta Mani pulite che rade al suolo mezza borghesia milanese».
Facciamo un salto. Entriamo nel nuovo secolo
«Io torno a lavorare a Milano all'inizio del secolo. Trovo una città cambiata in meglio da molti punti di vista».
Quali?
«È una città internazionale, cresciuta sul piano sociale, attrezzata, bella, piena di ristoranti e di alberghi... Però c'è un problema enorme: la sicurezza».
La sua Milano era più sicura di quella di oggi?
«Certamente sì. Oggi i miei amici che vivono ancora a Milano hanno paura per i loro figli...».
Per ragioni di sicurezza?
«Non ci sono più i problemi degli anni della mia gioventù. Cioè il terrorismo e la grande criminalità. Però c'è la microcriminalità, le baby gang, le rapine, quelli che ti scippano e ti portano via l'orologio, e poi la piaga orrenda degli stupri».
La microcriminalità è meno pericolosa della grande criminalità organizzata?
«No, al contrario. Va più in profondità. Tocca i ceti più deboli, i poveri. Un tempo i poveri non erano toccati dalla grande criminalità. La criminalità piccola e diffusa invece arriva ovunque, e corrode il tessuto sociale, la convivenza civile».
Milano vuol dire anche Berlusconi..
«Sì, lui ebbe un ruolo decisivo nello sviluppo. È lui che ha reso Milano la capitale vera e ha imposto il modello Milano a tutto il Paese».
Ricordi personali di Berlusconi?
«(ride) Le barzellette Poi i panettoni giganti e le gigantesche uova di pasqua che ci mandava. Piene di regali».
Questo nuovo scandalo che è scoppiato e sta travolgendo il sindaco Sala e gli assessori è una cosa seria?
«Guardi, io non mi sono mai interessato molto alla politica. E non conosco le carte dell'inchiesta. Non so se ci siano stati fatti di corruzione, e se esistano le prove. Perciò un giudizio non lo so dare».
Ma i sindaci di sinistra che sono arrivati a Milano negli anni dieci, dopo Formentini, Albertini e Moratti, cosa hanno dato a Milano?
«Forse qualche pista ciclabile di troppo».
Questo scandalo assomiglia all'inizio dello scandalo di Tangentopoli?
«Non esageriamo. Quello fu una rivoluzione, mandò all'aria tutto il potere politico e ferì a fondo una parte dell'imprenditoria. Non mi pare che siamo ancora in quell'ordine di grandezza».
Ma lo scandalo rischia di fermare lo sviluppo di Milano?
«Milano è sempre stata la locomotiva d'Italia, se si ferma Milano è un guaio molto serio per tutti. Dobbiamo evitare che questo scandalo travolga Milano e ne blocchi lo sviluppo».
Secondo lei il sindaco Sala deve dimettersi?
«La politica per me è una cosa misteriosa. No, non credo che debba dimettersi. Dovrà dare risposte e dimostrare la sua innocenza».
Per lei cos'è Milano?
«La città più bella del mondo».