
Dura sconfitta per il presidente dell'Argentina Javier Milei nella provincia di Buenos Aires. Le elezioni legislative dell'altro ieri hanno consegnato un verdetto netto: il peronismo, nella sua versione kirchnerista, ha ottenuto il 47,28% dei voti contro il 33,71% di La Libertad Avanza, il partito di Milei. Un distacco di oltre 13 punti, impensabile fino a pochi giorni fa, quando i sondaggi pronosticavano un testa a testa.
Il risultato politico è fragoroso. Il peronismo, sostenuto dall'ex presidente Cristina Kirchner - agli arresti domiciliari per una condanna per corruzione - e dal suo ex ministro marxista dell'Economia, il governatore Axel Kicillof, ha conquistato 13 senatori e 21 deputati nella provincia più popolosa dell'Argentina. Il partito di Milei si è invece fermato a 8 senatori e 18 deputati.
Ieri Clarín titolava che il kirchnerismo «schiaccia Milei e costringe il governo a rivedere la strategia per il 26 ottobre», quando si terranno le elezioni di midterm per rinnovare circa metà della Camera e un terzo del Senato.
La reazione dei mercati è stata violenta: ieri il dollaro è schizzato del 5%, chiudendo a 1.430 pesos; l'indice Merval di Buenos Aires ha perso l'11%, al pari dei bond argentini quotati a New York, mentre il rischio Paese è tornato sopra i 1.000 punti.
Nel suo primo discorso, domenica sera dopo il voto, Milei ha ammesso subito la sconfitta parlando di «profonda autocritica» e promettendo correzioni nella strategia seppur precisando che «non rinunceremo a un modello che ha ridotto l'inflazione dal 200 al 30% in un anno e mezzo». Ieri, dopo un consiglio dei ministri straordinario (ci sarà un rimpasto a breve), Milei ha incontrato insieme al suo ministro dell'Economia Luis Caputo il presidente della Banca Interamericana di Sviluppo, Ilan Goldfajn, confermando l'intenzione di continuare a puntare sul privato per rimettere in sesto il Paese.
Il voto, però, racconta anche un'altra storia: quella di un'Argentina sempre più distante dalla politica. Domenica, nonostante il voto sia obbligatorio, solo il 61% degli aventi diritto si è recato alle urne. Più di 5 milioni di persone hanno preferito pagare la sanzione, una multa simbolica, piuttosto che votare.
È l'affluenza più bassa dal ritorno della democrazia nel 1983 e, 12 anni fa, alle provinciali di Buenos Aires, aveva votato l'81% degli elettori: da allora il crollo è stato costante, complice lo scollamento tra politica e vita reale, la decisione di separare il voto provinciale da quello nazionale, il disinteresse delle nuove generazioni e la nausea elettorale dopo troppe consultazioni negli ultimi due anni tra legislative, presidenziali, comunali, provinciali, primarie, generali e ballottaggi vari.Certo, ancora una volta la provincia di Buenos Aires si conferma il cuore pulsante della politica argentina e, in vista del 26 ottobre, la strada per Milei è in salita.