
La Corte Suprema degli Stati Uniti ha annullato il blocco imposto da un giudice federale alle deportazioni verso Paesi terzi, accogliendo la richiesta dell’Amministrazione Trump. La decisione, che ha diviso nettamente i giudici lungo linee ideologiche, consente ora l’espulsione di immigrati illegali anche verso Paesi come il Sud Sudan, nonostante i rischi legati alla sicurezza e alla stabilità.
L’ordine del giudice federale Brian Murphy, che aveva temporaneamente fermato le espulsioni, è stato revocato da una maggioranza composta dai sei giudici conservatori della Corte, i quali però non hanno fornito una motivazione scritta per la decisione. Il caso ha attirato crescente attenzione da parte delle organizzazioni per i diritti dei migranti, dopo che è emerso che un gruppo di stranieri – tra cui cittadini di Cuba, Vietnam e Laos – era stato trasferito dagli Stati Uniti in una base militare a Gibuti.
I migranti erano confinati in un container Conex riconvertito, senza contatti con i loro avvocati e senza informazioni sul proprio destino. Secondo le ONG, la destinazione finale prevista era il Sud Sudan, un paese in profonda crisi umanitaria, segnato da instabilità politica, escalation di violenze e gravi problemi di insicurezza alimentare. “Si tratta di persone isolate in un Paese che non conoscono e in viaggio verso una nazione dove nessuno di loro è mai stato prima”, hanno denunciato alla corte gruppi come la National Immigration Litigation Alliance, sottolineando l’assoluta inadeguatezza delle garanzie fornite ai migranti coinvolti.
Il nodo in questione è la Convenzione contro la tortura, ratificata dal Senato nel 1994, che generalmente vieta l'espulsione o l'estradizione verso paesi in cui vi è la possibilità che il migrante possa essere torturato. La legge americana è però molto vaga su come l'amministrazione dovrebbe prendere tale decisione e su quali diritti processuali spettino al migrante in questione.
Il dissenso dei tre giudici progressisti – reso pubblico in un documento di 19 pagine – è stato particolarmente duro. Secondo loro, la decisione della Corte “premia l’illegalità” e mina le garanzie giudiziarie offerte agli immigrati, specialmente quando rischiano di essere rimandati in Paesi segnati da violenza o instabilità politica.
Sonia Sotomayor ha parlato di “esposizione al rischio di tortura o morte” per migliaia di persone e ha accusato il governo di ignorare deliberatamente le garanzie legali fondamentali. Il caso passerà ora in appello e potrebbe infine tornare alla Corte Suprema.