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Boeing in crisi e porti fermi: così affonda la campagna di Kamala Harris

Lo sciopero alla Boeing e una probabile serrata nei porti americani potrebbe mandare in crisi l'economia americana e le prospettive elettorali della candidata dem

Boeing in crisi e porti fermi: così affonda la campagna di Kamala Harris
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Vento in poppa per la campagna di Kamala Harris. Gli ultimi sondaggi mostrano come il dibattito televisivo con Donald Trump, disastroso per il tycoon, abbia contribuito a sollevare gli indici di gradimento per l’ex procuratrice della California sia a livello nazionale, in vantaggio di tre punti percentuali sul rivale secondo una media di rilevazioni pubblicate dalla Cnn, che in alcuni Stati in bilico tra i quali Wisconsin, Michigan e Pennsylvania. Nonostante la pioggia di dati incoraggianti, il record di finanziamenti ricevuti e l’endorsement di Taylor Swift, o proprio per questo, la vice di Joe Biden continua a giocarsi la carta dell’underdog consapevole che di qui al 5 novembre tutto sia ancora possibile.

I democratici temono in particolare l’October surprise, l’imprevisto che può capovolgere le sorti della corsa alla Casa Bianca. A tal proposito il pericolo maggiore per la candidata del partito dell'asinello sembra provenire non tanto dal Medio Oriente in fiamme quanto dal fronte domestico con un’ondata di scioperi che a pochi giorni dal voto potrebbe riaccendere l’attenzione dell’opinione pubblica sull'economia. È questo infatti uno dei talloni d’Achille per Harris, apparsa spesso incerta nel difendere i risultati ottenuti negli ultimi quattro anni dal suo partito e nel fornire una risposta efficace ad un elettorato che continua a soffrire per gli effetti dell’inflazione, nel frattempo stabilizzatasi ma su livelli ritenuti comunque troppo elevati.

I primi ad incrociare le braccia sono stati oltre 30mila dipendenti della Boeing. Lo sciopero, il primo dal 2018, è scattato dopo che il 96% dei lavoratori dell’azienda del settore aeronautico ha bocciato un accordo che prevedeva un incremento salariale del 25% a fronte di un aumento richiesto del 40% oltre all’impegno di costruire il prossimo aereo commerciale nell’area di Seattle nello Stato di Washington.

Il conseguente blocco della produzione dei velivoli, tra gli altri il 737 MAX e il 777, potrebbe andare avanti per oltre un mese e raggiungere un costo di circa tre miliardi e mezzo di dollari secondo le stime degli analisti. Intanto l’azienda ha risposto annunciando “tagli significativi” che prevedono il congelamento delle assunzioni e l’introduzione di licenziamenti temporanei. La crisi in corso arriva al culmine di un periodo nero per la Boeing che ha già dovuto rallentare la produzione a seguito di una serie di incidenti che ha messo in discussione la qualità e la sicurezza dei suoi velivoli.

E mentre gli analisti affermano che l’azienda costruttrice di aerei sia finita in una “spirale di morte autoindotta” con conseguenze sull’intero settore, un altro sciopero ancora più preoccupante potrebbe scattare all’inizio di ottobre coinvolgendo almeno 25mila lavoratori portuali della costa orientale e del Golfo del Messico. New York, Boston, Baltimora, Savannah e New Orleans sono solo alcuni dei terminal che rischiano la paralisi e ai quali si potrebbero aggiungere quelli sulla costa occidentale degli States se, come riporta Politico, i sindacati locali decidessero di solidarizzare con i colleghi dell’East coast.

Per gli esperti se si arrivasse ad una serrata limitata a due settimane i porti non tornerebbero alla normale operatività fino al 2025. Di fronte a tale scenario, non stupisce che la Casa Bianca abbia invitato tutte le parti coinvolte, i portuali e gli armatori dell’Alleanza marittima statunitense, a non abbandonare il tavolo delle trattative e continuare a negoziare “in buona fede”. L’amministrazione dem ha smentito inoltre la possibilità di ricorrere ad un provvedimento federale per bloccare uno sciopero che manderebbe in tilt le catene di approvvigionamento già sotto stress per la crisi in Medio Oriente.

Con queste premesse, le agitazioni dei lavoratori e un eventuale conseguente disastro economico si profilano come una gatta da pelare non solo per Biden, il quale in passato si è autodefinito il presidente più “pro-Union” della storia americana apparendo l’anno scorso accanto ai dipendenti del settore auto in sciopero, ma anche per la candidata Harris.

Ciò che nelle prossime settimane l’ex procuratrice dirà in materia di economia e diritti sindacali potrebbe infatti definire il successo o il tramonto del suo sogno presidenziale. Insomma, la "sorpresa di ottobre" potrebbe essere già arrivata.

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