La crisi migratoria accelera anche negli Stati Uniti e due importanti quotidiani come il New York Times e il Wall Street Journal dedicano ampio spazio ad una problematica che sta infiammando il dibattito in piena campagna elettorale per le presidenziali.
L’epicentro della nuova ondata di disperati è localizzato in una terra di nessuno dell’America centrale al confine tra Colombia e Panama chiamata Darién Gap. La regione, caratterizzata da giungle, rilievi e fiumi, è considerata tra le più pericolose al mondo e solo quest’anno è stata attraversata da 360mila persone bruciando il record di 250mila del 2022. Ad aprile Stati Uniti, Colombia e Panama avevano firmato un accordo per porre fine al movimento illegale di persone attraverso il Darién Gap, una pratica che “porta morte e sfruttamento” e genera profitto per una classe di individui senza scrupoli. Il quotidiano di New York rivela come la tratta sia una “corsa all’oro” gestita non da trafficanti nascosti nell’ombra ma da politici, funzionari eletti e uomini d’affari ben in vista in Colombia.
40 dollari per un passaggio in barca nella foresta pluviale, 170 dollari per la guida lungo sentieri impervi, 10 dollari per un piatto di riso e pollo, addirittura pacchetti speciali all-inclusive da 500 dollari. Eccoli alcuni dei prezzi del giro degli affari della morte in questo angolo di Sud America. “È un’economia bellissima” dichiara al New York Times Fredy Marìn, un ex consigliere comunale di Necoclì, adesso candidato sindaco per la stessa città colombiana, che con la sua compagnia di imbarcazioni trasporta migliaia di migranti. Marìn ha tra i punti del suo programma elettorale preservare questo tipo di business. “Abbiamo organizzato tutto: i barcaioli, le guide, chi trasporta i bagagli”.
Afferma così in un’altra testimonianza Darwin Garcìa, un politico di Acandì, aggiungendo che l’esplosione del flusso di immigrati sia “la cosa più bella che potesse accadere” in una città povera come la sua. L'attività viene gestita attraverso un’associazione non profit, la New Light Darién Foundation, che può contare su circa 2000 guide locali e sulla cui legalità chi ne fa parte non ha dubbi in quanto, dicono, aiuterebbe le persone solo a raggiungere il confine e non anche ad attraversarlo. In realtà però il vero protagonista dei traffici che si consumano sulla pelle dei migranti è il Cartello del Golfo, un potente gruppo criminale che domina nella Colombia settentrionale.
Persino il presidente colombiano Gustavo Petro ammette di non avere una piena autorità su Darièn Gap ma sostiene comunque che il controllo della tratta della morte nella regione non sia incluso negli accordi firmati ad aprile. Piuttosto, rilancia Petro, le cause dell’emigrazione sarebbero il prodotto di misure non lungimiranti adottate dagli Stati Uniti nei confronti dell’America latina. Il riferimento è in particolare rivolto alla politica di sanzioni adottate da Washington contro il Venezuela, un Paese che ha visto oltre 7 milioni di abitanti scappare dal regime di Nicolás Maduro.
Nel frattempo, come conseguenza di quanto accade migliaia di chilometri più a sud, la crisi migratoria si acuisce anche al confine tra il Messico e gli Stati Uniti. Il Wall Street Journal attacca l'amministrazione Biden definendo fallimentare la strategia messa in campo per risolvere l’annoso problema. Dopo la fine a maggio scorso del programma previsto dal Titolo 42 che bloccava gli ingressi negli Usa a causa della pandemia, il presidente ha cercato di perseguire una politica del bastone e della carota basata su pene più severe per scoraggiare gli ingressi clandestini e sull’offerta di nuovi percorsi legali per accedere nel Paese. Dopo appena pochi mesi i numeri di chi in ogni caso decide di tentare la sorte hanno ripreso ad aumentare. Gli agenti americani alla frontiera hanno infatti fermato 182mila persone solo ad agosto.
La Casa Bianca ha dato la colpa al Congresso per non aver ancora approvato una legge di riforma del sistema e la tensione si sta ripercuotendo a livello politico galvanizzando, come prevedibile, il partito repubblicano e mettendo in difficoltà stati e città governate dai democratici. Tra gli ultimi a protestare è stato il sindaco di New York, Eric Adams, il quale ha dichiarato che la crisi “distruggerà” la metropoli.
Solo lo sforzo congiunto di democratici e repubblicani alla Camera e al Senato potrebbe essere in grado di affrontare in maniera efficace un dossier che si trascina da anni come quello legato all'immigrazione.
Lo stato di campagna elettorale permanente e l'estrema polarizzazione tra i partiti sembrano però rendere impossibile il raggiungimento di una posizione comune sul tema. Ciò che avviene nel Darién Gap e al confine col Messico è destinato quindi, ancora una volta, a finire nell'agenda del presidente, chiunque esso sia, che farà il suo ingresso nello Studio Ovale nel 2025.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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