Politica estera

La lezione polacca su autoritarismo e democrazia: così ha smentito i gufi Ue

La vittoria della coalizione di Donald Tusk ha dimostrato che, nonostante le accuse di derive autocratiche e illiberali, la democrazia in Polonia funziona

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In Polonia non è ancora terminato lo scrutinio, ma i primi dati ufficiali diffusi dalla Commissione elettorale sembrano confermare il cambio di traiettoria di Varsavia. La coalizione del leader moderato Donald Tusk ha ottenuto la maggioranza dei seggi alla Sejm, la Camera bassa, tramite elezioni pienamente democratiche e regolari. E questo nonostante le accuse piovute da Bruxelles sulle derive autoritarie del governo di Mateusz Morawiecki e del Pis, al vertice del Paese dal 2015.

Il partito della destra nazionalista si è posizionato primo con il 38% dei voti, non sufficienti a creare un nuovo governo. Impresa, questa, che potrebbe riuscire alla coalizione composta da Piattaforma civica, Terza Via e Sinistra, che insieme hanno ottenuto 248 seggi su 460 (51% dei voti). Un risultato storico per il blocco filo-Ue, vincitrice delle elezioni più partecipate nella storia del Paese dal 1989. Un ulteriore segnale, questo, della salute ferrea di cui gode il sistema democratico polacco.

Eppure, la Polonia e l’Unione europea sono da tempo ai ferri corti, in particolare a causa delle riforme del sistema giudiziario, che hanno ridotto l’indipendenza della magistratura, e delle sentenze emesse dalla Corte costituzionale di Varsavia, che hanno subordinato il diritto europeo a quello nazionale. Una disposizione, questa, che ha creato “serie preoccupazioni” tra le alte sfere di Bruxelles già nel 2021, manifestando lo spettro di una “Polexit”. Il Paese, infatti, ha dato il suo consenso alla supremazia del diritto comunitario quando è entrato nell’Ue (2004) e una sfida così aperta è stata vista come il preludio ad una possibile fuoriuscita dalla Polonia dalla famiglia dei 27.

Altre critiche sono arrivate dal Parlamento di Strasburgo per il sempre maggior controllo del governo sui media. In particolare, gli eurodeputati hanno criticato la cosiddetta “Lex Tvn”, una legge che ha impedito a società esterne all’area economica europea di possedere più del 49% di una stazione radio o televisiva polacca. Il governo di Morawiecki ha sostenuto che la misura fosse indirizzata a soggetti come compagnie russe, arabe o cinesi, ma i critici dell’esecutivo vi hanno visto un attacco diretto all’emittente Tvn, da sempre nemica del Pis. L’europarlamento ha definito tutta questa vicenda un “tentativo di mettere a tacere contenuto critico e un attacco diretto alla pluralità dei media

Ulteriori terreni di scontro tra l’Ue e Varsavia sono stati le leggi sulla limitazione dell'aborto, concesso solo in caso di pericolo per la salute della madre o di gravidanza come conseguenza di uno stupro, e la discriminazione della comunità Lgbt, con tanto di Comuni polacchi che si sono fregiati del titolo di “Lgbt free zone”.

Tutte le critiche e gli attacchi dell'Unione hanno finito per dipingere la Polonia come uno stato autoritario, fatto di opposizione inesistente, schiavizzazione del sistema giudiziario e controllo totale dei media e del mondo accademico da parte del governo. Eppure, il processo democratico ha funzionato senza scontri o limitazioni al diritto di voto, e questo nonostante i sondaggi non avessero automaticamente regalato la vittoria al Pis. La cosa, però, non stupisce. La comunità europea ormai si è abituata a urlare “al lupo sovranista e autocratico” ogni volta che in un Paese viene eletto un governo conservatore, come se questo determinasse automaticamente una deriva dittatoriale.

Vista la crescita di questi schieramenti in tutto lo spazio dei 27, forse la strategia del terrore non sta deponendo in favore di coloro che vedono la destra, moderata o estrema che sia, come l'incubo destinato a distruggere l'Europa.

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