Politica estera

Erdogan prepara la festa. La rabbia di Gezi Park: "Tradito il nostro Paese"

Nella piazza di Istanbul teatro delle proteste nel 2013. Il Sultano: "Sarà il secolo della Turchia"

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alla Torre di Galata a Istiklal Caddesi è un pullulare di stradine, negozi e caffè. Alla fine di questa ampia strada dello shopping di Istanbul c’è la famosa Taksim Square, lì dove nel 2013 ci furono le proteste di Gezi Park, una serie di manifestazioni di dissenso contro il governo di Recep Tayyip Erdogan e la costruzione di un centro commerciale al posto del parco. Oggi l’area verde è sopravvissuta e rimane il simbolo di chi vorrebbe una Turchia diversa, più vicina all’Europa, più liberale e democratica. Qui sorgono diverse moschee e il celebre Marmara Hotel. E oggi è finalmente il giorno della verità, si vota per decidere chi governerà la Turchia per i prossimi 5 anni. Dopo due decenni al potere Erdogan, Sultano scaltro e spregiudicato, sembra nettamente favorito rispetto al suo avversario Kemal Kilicdaroglu, che ha già staccato di 5 punti al primo turno. Sui social, l’invito: «Facciamo iniziare il secolo della Turchia con i nostri voti». E poi ancora: «Il tempo delle giunte militari e dei colpi di Stato è finito».

A Gezi Park molti hanno un po’ di relax dalla vita caotica della metropoli, o portano i bambini a giocare. In un caffè, Mine, 30 anni, e Safa, 31, entrambi contabili, stanno sorseggiando un bicchiere di tè. Sono sposati da pochi mesi, lei con due treccine bionde, lui la barba scura. Hanno votato per Kilicdaroglu, ma Mine precisa: «Se vincerà Erdogan, lasceremo il Paese. Prima Taksim era sempre piena, ora è vuota, la gente non ha più soldi. Erdogan ha aperto molte scuole religiose, ma per motivi politici ed elettorali. Le tre grandi città Istanbul, Ankara e Smirne non votano per lui perché qui si avverte di più la crisi, rispetto alla provincia».

In Taksim Square ci sono venditori di bottigliette d’acqua, di spighe di granturco e dolcetti e nel mezzo sorge il monumento della nascita della Repubblica, spicca il padre della Turchia moderna, l’eroe nazionale per eccellenza Mustafa Kemal Atatürk. Quest’anno si celebreranno i cento anni dalla proclamazione della Repubblica. Ma in Turchia molti pensano che Erdogan abbia tradito gli ideali laici di Atatürk. La Turchia ha intrapreso una strada più conservatrice, tradizionalista e religiosa.
Su una panchina Ugur, 33 anni, impiegato, con occhialini tondi e neri, prende appunti su un taccuino: «Non voterò per nessuno. Erdogan usa toni nazionalisti e religiosi ma non ci crede veramente». Anche Ismail, 30 anni e sua moglie Hatige, 35, con i 4 bambini passeggiano intorno a Taksim. Hatige ha una veste nera lunga fino alle caviglie e un foulard marrone che le copre i capelli e non ha dubbi: «Erdogan vincerà. Ha dato sviluppo al Paese, liberato le donne, ora possiamo lavorare nel settore pubblico e studiare».

Con il tipico taxi giallo di Istanbul, in 15 minuti si arriva a Fatih, quartiere abitato prevalentemente da siriani e immigrati. Aksaray è un dedalo di stradine puntellate da ristoranti arabi, negozi di abbigliamento, centri estetici. Amin, 30 anni, di Damasco, ha qui il suo.
Sono 3,5 milioni i siriani in Turchia e circa 240mila hanno la cittadinanza e votano. «In Siria guadagnavo 15 dollari al mese, qui 400. Sono spaventato dal fatto che molti vogliono che ritorniamo nel nostro Paese- racconta - La Turchia è la nostra ultima speranza». Purtroppo siamo costretti ad andare via velocemente da Aksaray perché il proprietario di un negozietto ci urla contro: «Andate via!», ripete, alzando le braccia al cielo.

Qui non è posto per occidentali.

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