Finché c'è Gervais, c'è speranza

Fortunatamente, non tutto è perduto. Almeno finché ci saranno in giro comici come Ricky Gervais e soprattutto persone disposte a dissacrare, insieme a lui, tutto il dissacrabile

Finché c'è Gervais, c'è speranza
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E no, non va così bene. Perché, sebbene con il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, almeno negli Stati Uniti, i santoni della religione woke qualche schiaffone abbiano iniziato a prenderselo, in Europa, in quanto a libertà di espressione e di pensiero, non ce la passiamo tanto bene. E non certo perché, come ci urlano quotidianamente i progressisti difensori della Costituzione, siamo in balia di una pericolosissima deriva fascista del potere. Piuttosto perché la vera dittatura, quella delle minoranze, continua a dilagare in mezzo a noi. Ne fanno le spese soprattutto gli inglesi che negli ultimi tempi hanno dovuto sopportare di tutto. Nell’ordine: la messa in discussione del «mito della meritocrazia», in quanto percepito come «molestia razziale»; il vademecum arcobaleno per le scuole primarie con le trecento (300!) bandiere del Pride; il corso per ostetriche che promuove l’allattamento al seno maschile e, dulcis in fundo , la cacciata da scuola di una ragazzina, rea di aver indossato la bandiera del Regno Unito in occasione della «Giornata della diversità culturale». E sono solo i casi più

eclatanti. Fortunatamente, non tutto è perduto. Almeno finché ci saranno in giro comici come Ricky Gervais e soprattutto persone disposte a dissacrare, insieme a lui, tutto il dissacrabile. Perché, e questo è il sale della democrazia oltre che del vivere bene, si può ridere di tutto. Altrimenti, come insegnava un altro maestro della comicità, non ci resta che piangere.

Gervais, dunque. A Milano. Unipol Forum andato in sold out in un battibaleno. Oltre novemila persone. Il 24 di luglio. Stand-up comedy tutta rigorosamente in inglese. Senza sottotitoli, manco a dirlo. E lui sul palco, da solo. Maestro del politicamente scorretto. «È bello essere tornati a ridere», ha detto. «Non so come sia qui ma negli ultimi dieci anni in Inghilterra e in America c'è stato chi ha detto agli altri che non potevano ridere di certe cose. Ma li abbiamo respinti, siamo andati avanti, abbiamo vinto». Titolo dello spettacolo: Mortality . Ma non fatevi ingannare: nulla a che fare con la morte. È un inno alla vita. «C’è gente che è così preoccupata di morire che si scorda come vivere - avverte le cose belle della vita sono pericolose ». Come battersi in difesa della libertà di parola. «Da qualsiasi parte stai, dovremmo essere d’accordo sulla libertà

di parola, da cui derivano gli altri diritti». Gervais non molla mai. E, battuta dopo battuta, mette a nudo tutta l’ipocrisia dei benpensanti. Come quella di chi si proclama antirazzista ma «se Anna Frank bussasse alla porta chiedendo di entrare in casa in una zona circondata da nazisti con il rischio che ti uccidono le diresti “vai nella casa accanto”». Gervais è così. Suicidio assistito, disabilità, religione, sessualità: non c’è argomento che noi comuni mortali non maneggeremmo, se non usando le pinze e le parole socialmente accettate, che lui non è disposto a profanare con il sorriso sulle labbra. Ma non cadete nell’errore di ridurlo a bandierina anti woke, Gervais è molto di più.

Un consiglio per chi non conoscesse Ricky

Gervais: fatevi un giro su Netflix . Troverete i suoi spettacoli e la serie After Life . Guardateli. E fatevi una risata. Perché, finché ci sono comici come lui, c’è speranza. Speranza per noi e per la nostra libertà di parola.

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