"Gentile ma spietato": ecco chi è l'ultimo nemico di Israele in Medio Oriente

Abdulmalik Al-Houthi, a capo dell'organizzazione islamista yemenita, continua a resistere agli attacchi israeliani. I suoi seguaci sostengono che sia stato scelto da Dio

"Gentile ma spietato": ecco chi è l'ultimo nemico di Israele in Medio Oriente
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Nella storia recente del Medio Oriente gli attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023 rappresentano uno spartiacque al pari dei conflitti del 1967 e del 1973. Hamas, Hezbollah, Iran. Nessuna di queste organizzazioni, e tantomeno la Repubblica islamica, è rimasta immutata a seguito della campagna militare lanciata da Tel Aviv in risposta alla strage compiuta dal movimento che controllava la Striscia di Gaza. C'è pero un unico nemico dello Stato ebraico che è riuscito a resistere quasi indenne, almeno fino ad ora, alla furia dell'esercito israeliano.

Si tratta degli Houthi che dallo Yemen continuano a tenere sotto scacco Israele e una delle rotte commerciali più strategiche del pianeta. A guidare da oltre dieci anni gli islamisti ribelli è Abdulmalik Al-Houthi, descritto come "minuto e pacato" in un nuovo profilo pubblicato dal Wall Street Journal, la cui strategia è stata quella di sfidare avversari sempre più potenti con sfacciati attacchi missilistici. Ad animare l'ultimo leader militante ancora in lotta in Medio Oriente e le sue iniziative c'è un'unica sfrontata scommessa: colpire avversari ritenendo che abbiano di più da perdere rispetto all'organizzazione da lui controllata.

Il 40enne Al-Houthi, il quale registra discorsi video quasi settimanalmente da località non precisate, è ossessionato dalla segretezza e sostiene di discendere dal profeta Maometto. Un giovane che ha frequentato uno dei "corsi culturali" promossi in Yemen dagli Houthi ha dichiarato al Wall Street Journal che lui e i suoi compagni sono pronti a seguire gli ordini di Abdulmalik "perché crediamo siano comandamenti di Dio". Chi lo ha incontrato lo descrive come affabile e gentile nei modi ma l'atteggiamento del leader islamista nasconde una vena più strategica e spietata che lo ha portato a stringere stretti legami con gli iraniani.

Sotto la guida di Abdulmalik il reclutamento di nuove forze è cresciuto esponenzialmente passando, secondo dati delle Nazioni Uniti, dai 30mila combattenti nel 2015 ai 350mila a fine 2024. Elemento non secondario per spiegare la crescita del movimento è il fatto che pur controllando solo un terzo circa del territorio dello Yemen, l'area in questione comprende porti, aziende statali e risorse economiche che frutterebbero agli Houthi fino a due miliardi di dollari di entrate all'anno.

Nell'ultimo decennio Al-Houthi è riuscito a resistere agli attacchi di Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, preoccupati dall'avanzata di un alleato di Teheran nella penisola araba, utilizzando droni e missili a basso costo. I funzionari sauditi hanno reso noto di aver lanciato a partire dal 2014 e per tre anni oltre 145mila missioni di combattimento e ricognizione sullo Yemen senza riuscire a stanare il suo leader nascosto nelle caverne. L'intervento militare fu concluso solo a seguito di una tregua mediata dalle Nazioni Unite. Anche la campagna di bombardamenti avviata quest'anno dall'amministrazione Trump si è conclusa con un accordo in base al quale le due parti si sono impegnate a non attaccarsi a vicenda.

Al-Houthi ha fatto del sostegno alla causa palestinese una delle principali ragioni d'essere del movimento yemenita. Lo dimostra la popolarità dell'organizzazione tra i palestinesi certificata da un recente sondaggio condotto Palestinian Center for Policy and Survey Research. Negli ultimi mesi funzionari di Arabia Saudita, Egitto e Qatar hanno cercato in incontri privati di convincere gli Houthi a cessare gli attacchi contro Israele e le navi nel Mar Rosso. Uno sforzo diplomatico che non ha prodotto alcun risultato. Secondo April Longley Alley, ex diplomatica delle Nazioni Unite, gli Houthi "credono sinceramente nella jihad per eliminare Israele" dalla regione mediorientale e "continueranno ad insistere".

Intanto gli Houthi continuano dunque ad attaccare Israele e a scatenare la sua reazione militare. A fine agosto i caccia di Tel Aviv hanno colpito un raduno di alti funzionari Houthi uccidendo 12 esponenti del gruppo, tra cui il primo ministro e il ministro degli Esteri. Il raid non avrebbe compromesso in modo significativo la capacità di attaccare Israele.

Funzionari dello Stato ebraico affermano infatti che anche dopo la fine del conflitto nella Sriscia di Gaza, gli Houthi continueranno a rappresentare un'importante sifda e un nuovo obiettivo per l'intelligence israeliana.

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