Guerra in Ucraina

La guerra in Ucraina e il canale di comunicazione diretto tra Kiev e Mosca

Il Washington Post riporta l'esistenza di un canale diretto di comunicazione adoperato da Kiev e Mosca per trovare l'accordo su questioni umanitarie

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In una guerra d’attrito che ha superato il triste traguardo dei 600 giorni non è facile trovare una buona notizia a cui aggrapparsi ma quella che il Washington Post ha riportato nei giorni scorsi, seppur passata in sordina, potrebbe essere indicativa di una piccola grande svolta nel conflitto nell’Europa dell’est. Secondo quanto rivelato dal quotidiano americano l’Ucraina e la Russia avrebbero infatti aperto un canale di comunicazione con la finalità di discutere alcune questioni umanitarie fondamentali. Una linea di dialogo che gli analisti sperano possa presto estendersi alle trattative, al momento ufficialmente inesistenti, per la fine delle ostilità.

Scambio di prigionieri e delle salme dei caduti al fronte, passaggio delle navi dai porti ucraini sul mar Nero e la restituzione a Kiev dei bambini trasferiti in Russia. Questi sono i punti di contatto su cui avvengono negoziati diretti tra il governo di Volodymyr Zelensky e il regime di Vladimir Putin spesso coadiuvati da intermediari come il Qatar, la Turchia, gli Emirati Arabi Uniti, l’Arabia Saudita, il Vaticano e il Comitato internazionale della Croce Rossa.

Tra i punti più delicati c’è il recupero dei caduti nei territori occupati. Un paio di volte al mese camion refrigerati per il trasporto di cadaveri sono condotti al confine dagli operatori dei servizi di emergenza russi e ucraini. Il personale della Croce Rossa - è quest’ultima ad aver avviato il programma nell’estate del 2022 – controlla la documentazione sotto la supervisione dei servizi di sicurezza di Kiev e di Mosca. “È necessario accordarsi con il nemico su qualcosa” afferma Oleh Kotenko, un ufficiale ucraino che sino a settembre ha gestito il trasferimento e la ricerca dei soldati dispersi aggiungendo che se così non fosse “1700 uomini non sarebbero stati sepolti con dignità e da eroi”.

La cooperazione tra i due Paesi nemici si estende allo scambio dei prigionieri ed avviene, come per quello dei caduti in guerra, nella regione di Sumy, nel nord est dell’Ucraina. Il Washington Post ricorda come la Convenzione di Ginevra preveda tale tipo di intese ma solo dopo la cessazione delle ostilità. Sarebbe però stato il governo di Zelensky a premere sul ritorno in patria nel più breve tempo possibile dei suoi soldati in mano ai russi per sottrarli ad un sistematico programma di torture documentato anche dalle Nazioni Unite.

I giornalisti americani riportano che quando si raggiunge uno stallo nelle comunicazioni dirette tra Kiev e Mosca, peraltro non pubblicizzate da nessuno dei due Paesi in guerra, il premier turco Recep Tayyip Erdogan presta i suoi servizi per risolvere l’impasse. Non a caso il più grande scambio di prigionieri - 215 soldati dell’esercito di Zelensky e 10 combattenti stranieri contro 55 ufficiali russi e Viktor Medvedchuk, oligarca e grande alleato di Putin - è stato raggiunto grazie ad una trattativa parallela a quella sul grano svoltasi in Turchia che ha visto anche la partecipazione attiva dei sauditi. “Ognuna delle due parti deve poter dire di aver vinto in qualche modo” sostiene Dmytro Usov, un membro dell’intelligence militare ucraina.

Il Vaticano e il Qatar sono altri mediatori rivelatisi utili per la liberazione del personale non coinvolto in combattimenti e per l’avvio di un programma di rimpatrio, di cui ancora non si conoscono tutti i dettagli, dei bambini ucraini sottratti dai russi. A partire da marzo gruppi di minorenni hanno cominciato infatti a fare ritorno nelle loro famiglie a cadenza quasi regolare passando attraverso il confine bielorusso.

Che il dialogo in corso tra Kiev e Mosca possa salire di livello lo ha lasciato intendere ieri il ministro della Difesa russo, Sergei Shogu, il quale al Forum Xiangshan di Pechino ha affermato che “se si creeranno le condizioni necessarie, siamo pronti a discutere politicamente sia la situazione postbellica della crisi ucraina sia i parametri di un’ulteriore coesistenza con l’Occidente su una base realistica”.

Una dichiarazione che i cremlinologi studieranno con attenzione sperando di cogliere i primi segnali di disponibilità da parte di Mosca all'apertura di un tavolo di trattative per la fine della guerra nell’est Europa.

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