
A poche ore dall'annuncio ufficiale rilasciato da Hamas in cui si legge che i miliziani islamisti sono disponibili "a liberare tutti gli ostaggi israeliani — vivi e deceduti — secondo il meccanismo di scambio previsto nella proposta del presidente Trump" e ad "avviare immediatamente negoziati, tramite i mediatori, per discutere i dettagli", emergono indiscrezioni sulle divisioni interne all'organizzazione sunnita che potrebbero far deragliare gli sforzi diplomatici della Casa Bianca e l'ultima speranza di pace nella Striscia di Gaza.
Hamas, riporta infatti in queste ore il Wall Street Journal, "è ancora in guerra con sé stessa" sulla proposta americana e rimane "profondamente divisa su come procedere". Khalil Al-Hayya, il principale negoziatore del gruppo al potere a Gaza dal 2007, e diversi altri funzionari politici sostengono l'accettazione della proposta nonostante significative riserve ma si tratterebbe di figure con base fuori dall'exclave palestinese e con un'influenza limitata sull'ala armata di Hamas.
Tra i punti più critici del piano Usa ci sarebbe l'imposizione all'organizzazione islamista del disarmo e della consegna delle armi. Stando a quanto riportato dai negoziatori, Ezzedin al-Haddad, alla guida di Hamas dopo l'eliminazione di Yahya e Mohammed Sinwar da parte dell'esercito israeliano, avrebbe fatto sapere di essere aperto alla possibilità di un compromesso e sarebbe disposto a cedere razzi e altre armi offensive all'Egitto e alle Nazioni Unite ma vorrebbe conservare armi leggere che considera invece difensive.
Il timore dei comandanti di Hamas nella Striscia, sottolinea il Wall Street Journal, è però quello di non riuscire ad imporre le richieste di disarmo ai suoi miliziani qualora dovessero accettare un accordo che equivale ad una resa. In particolare, una forte resistenza potrebbe arrivare dai tanti giovani reclutati dopo l'inizio del conflitto che spesso hanno visto le loro case distrutte o i loro familiari uccisi dall'Idf.
Un altro punto del piano Usa che starebbe generando discussioni tra i componenti di Hamas riguarda il rilascio dei 48 ostaggi israeliani, vivi e morti, entro 72 ore dall'accordo. I membri più scettici del gruppo avrebbero bollato la proposta come una "tregua di 72 ore" piuttosto che un vero accordo di pace. Una considerazione che rende evidente la sfiducia dei miliziani nei confronti delle reali intenzioni del premier israeliano Benjamin Netanyahu.
Diversi osservatori hanno affermato che la risposta ufficiale di Hamas arrivata ieri sera punta a guadagnare tempo per permettere all'organizzazione di risolvere i contrasti tra la sua ala politica e quella militare. Divisioni peraltro già emerse in più occasioni dall'inizio del conflitto nella Striscia. Nonostante i dubbi, il presidente americano Donald Trump ha affermato di credere che Hamas sia "pronta per una pace duratura" e ha invitato Israele a interrompere immediatamente gli attacchi a Gaza.
La reazione del tycoon, riferisce Channel 12, avrebbe sorpreso il premier Netanyahu, il quale considererebbe la risposta di Hamas come un rifiuto della proposta americana. I miliziani questa volta potrebbero però essere davvero con le spalle al muro. Secondo un alto funzionario della difesa israeliana citato dal Wall Street Journal, i "negoziati stanno iniziando a diventare concreti" e "forse è la prima volta in tutta la guerra che Hamas inizia a capire che verrà sradicato".
Oltre alle pressioni Usa, si starebbe rivelando incisiva anche la mediazione di Qatar, Egitto e Turchia che avrebbero detto ai leader del gruppo che questa è la loro ultima possibilità per mettere fine al conflitto a Gaza e che se respingeranno l'accordo non saranno più in grado di continuare a fornire loro supporto politico o diplomatico.