
Università americane nel mirino del Partito comunista cinese. Questa l’accusa espressa da diversi esponenti politici repubblicani, rilanciata dal megafono della Casa Bianca, che sostengono che Xi Jinping invii funzionari e burocrati di medio e alto livello negli atenei più prestigiosi degli States per apprendere competenze sul mondo accademico e sulla governance Usa. Le nozioni e le informazioni raccolte dai papaveri di Pechino, affermano gli uomini del Gop, verrebbero adoperate dalla Repubblica Popolare per danneggiare gli interessi di Washington. A tutto ciò si aggiungerebbero poi le attività di spionaggio affidate ad altri studenti del Paese del dragone.
In cima alle preferenze delle autorità cinesi ci sarebbe Harvard, la prestigiosa università che, come riporta il Wall Street Journal, sarebbe conosciuta in Cina come la più importante “scuola di partito” fuori dai confini nazionali. Spulciando negli elenchi degli iscritti ai corsi post-laurea e di formazioni dirigenziale compaiono un ex vicepresidente ed un ex vicepremier e principale negoziatore in materia commerciale scelto dal leader cinese ai tempi del primo mandato del tycoon.
Nelle ultime ore l’aspra battaglia culturale e politica ingaggiata da Donald Trump contro Harvard si è concentrata proprio sul filo rosso che unirebbe l'università dell'Ivy League alla Cina. Il presidente americano ha infatti denunciato mercoledì scorso tramite il suo segretario di Stato Marco Rubio operazioni di influenza di Pechino nell’ateneo del Massachussetts. Il massimo rappresentante della diplomazia Usa ha dichiarato che Washington inasprirà i criteri per le richieste di visto dalla Cina e revocherà “in modo aggressivo i visti per gli studenti cinesi, compresi quelli con legami con il Partito comunista cinese o che studiano in settori critici”.
La mossa annunciata da Foggy Bottom arriva a pochi giorni di distanza da un’altra iniziativa intrapresa dalla Casa Bianca che prevede la revoca dell’autorizzazione ad Harvard per l’iscrizione di studenti stranieri. L’amministrazione repubblicana, seguendo una strategia spesso adottata da The Donald, ha poco dopo fatto un parziale dietrofront concedendo 30 giorni di tempo per contestare tale decisione. Il campus di Cambridge, che per ora ha dato prova di non essere intimidito dallo scontro col governo federale, ha risposto intentando una causa per mantenere le sue prerogative.
La reazione di Pechino agli strali di Washington è stata affidata alla portavoce del ministero degli Esteri cinese, la quale ha dichiarato che gli Stati Uniti danneggiano “seriamente i legittimi diritti e interessi degli studenti cinesi”. Al di là delle polemiche suscitate dalla battaglia culturale lanciata dal capo della Casa Bianca, è comunque innegabile l’importanza che le università americane hanno avuto e continuano ad avere nella formazione dei burocrati del Partito comunista e di figli di dirigenti del gigante asiatico. Tra queste, Mingze, la figlia di Xi Jinping che una quindicina di anni fa ha frequentato sotto falso nome i corsi di Harvard.
Il New York Times, dando conto delle indagini condotte dall’Fbi a caccia di spie tra professori e studenti provenienti dal Paese del dragone, riporta il parere di esperti alquanto scettici sulle ultime iniziative di Trump.
“Il numero complessivo di studenti della Repubblica Popolare Cinese che rappresentano effettivamente un qualche tipo di rischio per la sicurezza nazionale è relativamente basso rispetto al numero di studenti che continueranno a sostenere e promuovere la ricerca Usa”, afferma Greg Milonovich, ex agente del Bureau. Un'argomentazione che non convince il tycoon che intanto tira dritto e studia già le prossime mosse contro Harvard e il mondo accademico a stelle e strisce.