Sono due gli elementi lampanti che emergono, a bocce ferme, dopo lo spoglio elettorale nei Paesi Bassi. Il populismo (sia quello xenofobo, che quello pro-Pal) può essere bypassato da una politica credibile e ponderata; ma l'instabilità politica, tanto ad Amsterdam, quanto a Parigi, non è una buona notizia per l'Europa, che può diventare appetibile nella sua debolezza dai super players esterni.
Ora è ufficiale: Rob Jetten ha vinto le elezioni, perché il PVV di Wilders non può più colmare quei 15mila voti di differenza. Ora assumerà il ruolo di «candidato esplorativo», per sondare tutti i partiti e di fatto aprire la partita delle consultazioni vere e proprie per giungere a formare un governo di
coalizione: un processo che solitamente dura mesi. Ma con solo il 18 per cento dei consensi dovrà fare accordi e l'esempio spagnolo di Sànchez e Puidgemont in questo senso è lì a dimostrare che si tratta di una roulette russa. Così il suo partito, il D66, «ha dimostrato che i movimenti populisti mondiali possono essere sconfitti». Parole che Jetten affida non solo ai media olandesi, ma lanciando un messaggio all'intera Ue, in un decennio in cui i tentativi di penetrazioni politiche esterne sono stati molteplici.
Ma la situazione di stallo olandese è anche l'occasione per riavvolgere il nastro politico e mettere i puntini sulle «i». Per anni questi paesi hanno puntato l'indice contro l'Italia, rea di avere governi balneari, di essere ammanettata ai veti di alleati, al debito fuori controllo e ad una mancata programmazione politica. Una sorta di euro-supponenza dei frugali che, oggi, si specchia al contrario nell'impasse di Olanda e Francia.
I primi sono usciti male dal dopo Rutte, lasciando spazio alla xenofobia populista di Wilders, che si è rapidamente sgonfiato
perché basato solo sulla retorica anti-immigrati e ora anelano ad una grossa coalizione che potrebbe non produrre stabilità. Trovare la quadra tra alleati con differenti sensibilità è un esercizio altamente complesso e dagli esiti tutt'altro che scontati, come insegna la recente esperienza del governo semaforo guidato da Olaf Scholz, in una Germania che non ha avuto dal cancelliere socialista le risposte giuste su problemi concreti come energia, automotive, difesa.
I secondi si affannano a bruciare sulla Senna premier come noccioline, mentre i mercati si irrigidiscono e tra i cittadini monta sempre più lo scollamento dalla
politica. Un quadro preoccupante. Un grande problema, non solo interno per i paesi in questione, ma per i destini anche europei, visto che gli esecutivi deboli sono appetibili dai super players esterni, come Cina e Russia.