
Gli americani sono il popolo più religioso tra le nazioni sviluppate. Spirito e materia. Di fatto, nella sua storia recente, si è creata in simbiosi con il sentimento nazionale una sacralizzazione della politica che lo storico Emilio Gentile ha definito in un libro imprescindibile con l'omonimo titolo: «la democrazia di Dio». Un Dio però che non è mai stato esplicitamente cristiano, bensì messianico nel senso più radicale del termine.
Gli Stati Uniti e i suoi abitanti inseguono da sempre un «destino manifesto». E tra loro c'è anche Peter Thiel, il «mago della Casa della Bianca»; co-fondatore di PayPal e poi di Palantir Technologies, nonché primo imprenditore della Silicon Valley ad aver sostenuto Donald Trump alle elezioni presidenziali. Tra le sue principali ossessioni: il tema dell'Apocalisse. Thiel si definisce cristiano, evangelico più che cattolico, ma nel suo pensiero il fattore escatologico prevale su quello pastorale. Tanto che, proprio in questi giorni, al Commonwealth Club di San Francisco - il 15, 22, 29 settembre e il 6 ottobre - terrà quattro conferenze sul tema dell'Anticristo nella Bibbia. Il seminario, organizzato dal collettivo Acts 17 (acronimo di Acknowledging Christ in Technology and Society, in italiano «Riconoscere Cristo nella tecnologia e nella società»), è già tutto esaurito, e rappresenterebbe in realtà il sequel di una serie di lezioni in «Chatham House Rule», argomento sul quale aveva conferito nelle università di Austin, Oxford e Harvard. Questa volta però a «porte aperte».
Per comprendere il fervore di Thiel riguardo «la fine dei tempi», bisogna risalire agli anni dei suoi studi presso la Stanford University, di preciso all'incontro con un professore di origine francese e studioso del sacro, che diventerà poi il suo maestro: Réné Girard. Le sue teorie sul «desiderio mimetico» e sul «capro espiatorio», che secondo Girard avrebbero mosso la storia del cattolicesimo, diventano delle bussole per Thiel; per il suo modo di pensare diversamente, di fiutare gli affari, e di produrre una visione d'insieme in grado di unire il pensiero filosofico, il destino degli Stati Uniti, e la capacità di generare idee profondamente redditizie. Piani nei piani.
La giornalista Monica Maggioni in The Presidents (edizioni Rai, 2025), racconta in maniera erudita la parabola umana e intellettuale di quello che oggi è uno degli uomini più influenti d'Oltreoceano, che a un certo punto si intreccerà con Elon Musk nel business, e con l'attuale vice-presidente J. D. Vance nella prospettiva «girardiana». Sarà proprio lui, the contrarian a portarli a Mar-a-Lago da Donald Trump. E da quegli incontri nascerà probabilmente, nella mente di Peter Thiel, una sorta di triumvirato capace di muoversi nella dialettica biblica del «katechon» (colui che trattiene) e dell'«eschaton» (il giudizio finale).
Il substrato del suo pensiero dunque, oltre a fornire una narrazione teologica/antropologica/storica che mira a dare un senso all'intera esperienza umana, è fortemente proiettata al futuro, considerato da Thiel una categoria in crisi. Da qui la necessità di provocare uno «shock immaginativo», generativo di un nuovo «destino manifesto».
Una teoria per un imprenditore che ha chiamato le sue aziende con parole elfiche tratte dal Signore degli Anelli di Tolkien, che rievoca tuttavia una frase epica della saga Dune scritta dall'americano Frank Herbert: «Il concetto di progresso è un meccanismo protettivo che ci difende dai terrori del futuro».