La libertà dai soldi di Washington

Negli Stati Uniti come in Europa la cultura è un ambito cruciale, e rappresenta un puntello di primaria importanza per l'universo politico variamente post-marxista, ecologista e politicamente corretto

La libertà dai soldi di Washington
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La decisione dell'amministrazione Trump di tagliare i finanziamenti di talune università è stata giustificata con il fatto che esse non avrebbero adeguatamente contrastato l'antisemitismo. Sebbene sia indubbio che in una certa sinistra domini un'avversione pregiudiziale verso Israele e perfino verso il mondo ebraico, l'argomento va preso per quello che è. Il contrasto tra la destra americana di Trump e l'universo delle accademie statunitensi, in effetti, è assai più profondo.

Come ha scritto Luigi Curini, «negli anni Sessanta il rapporto tra accademici di sinistra e di destra negli Stati Uniti era infatti tra 2:1 e 3:1, mentre ora è tra 9:1 e 14:1, ma si passa a 40:1 nelle discipline delle scienze sociali». In poche parole, le università statunitensi sono centri di potere culturale saldamente nelle mani di ambientalisti, terzomondisti e via dicendo. E all'amministrazione attuale non piace l'idea che i cittadini siano costretto a finanziare la propaganda ideologica di sinistra.

Se da un lato è facile comprendere il punto di vista di Washington, è pur vero che il metodo utilizzato è contestabile. In effetti, Trump avrebbe fatto meglio a delineare un generale blocco delle sovvenzioni alle università, lasciando che gli atenei si finanzino sul mercato (con le rette) e al massimo con i sostegni degli stati federati. Non va nemmeno trascurato come già oggi soltanto una modesta parte delle entrate delle università provenga dal bilancio federale.

Senza andare troppo lontano, perfino in Svizzera (dove gli stati federati i cantoni sono di limitatissime dimensioni: mediamente poco sopra i 300 mila abitanti) l'università è di competenza cantonale, con le due uniche eccezioni dei politecnici di Zurigo e Losanna. Smettere di finanziare dal centro tutte le università avrebbe più senso che non negare risorse in modo selettivo, punendo quelle che in qualche modo non piacciono.

Negli Stati Uniti come in Europa la cultura è un ambito cruciale, e rappresenta un puntello di primaria importanza per l'universo politico variamente post-marxista, ecologista e politicamente corretto. È comprensibile che la destra americana, che vuole interpretare le ragioni dei conservatori, entri in conflitto con l'Ivy League e con i grandi mandarini dell'intellighenzia attuale.

A tale proposito, va segnalato quanto ha scritto (con il suo tipico tono sarcastico) Walter Block, quando ha proposto che negli atenei venissero introdotte quote riservate ad accademici non di sinistra. Si tratta di una provocazione, che ha però il merito di rovesciare contro i progressisti una tipica loro aberrazione (i posti riservati alle donne, ai neri, ecc.).

Alla fine sono questi dogmi del nostro tempo che negano la parità dinanzi al diritto, costruendo privilegi e inedite discriminazioni che vanno messi in discussione.

Perché la battaglia culturale contro la sinistra deve essere il rovesciamento delle logiche progressiste non solo nei contenuti, ma anche nella forma.

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