Israele punta Khamenei. Fuga nel bunker e rischio di congiura: è caccia alla “testa del serpente”

L’operazione militare “Rising Lion” si avvicina al cuore del potere iraniano. Netanyahu non esclude di colpire Khamenei

Israele punta Khamenei. Fuga nel bunker e rischio di congiura: è caccia alla “testa del serpente”
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L’operazione militare israeliana Rising Lion cominciata venerdì scorso con attacchi contro gli impianti legati al programma nucleare iraniano, vertici militari e scienziati di Teheran entra in quella che potrebbe essere la fase più delicata e, forse, decisiva. Gli obiettivi dei raid dell’Idf, estesi a target come infrastrutture energetiche e il quartier generale della tv di Stato (classici obiettivi di missioni volte ad ottenere un regime change), lasciano ormai intravedere finalità ben più ampie di quelle dichiarate inizialmente dal premier israeliano Benjamin Netanyahu. In questo contesto da caduta degli dei non stupisce che circolino con crescente insistenza voci su un imminente crollo del regime iraniano. Un risultato che potrebbe arrivare dall’eliminazione della “testa del serprente”, l’ayatollah Ali Khamenei, che da oltre 35 anni detiene il massimo potere religioso, e di fatto politico-decisionale, nella Repubblica Islamica.

Che la neutralizzazione del capo del regime teocratico possa essere questione di giorni se non di ore lo dimostrano le dichiarazioni delle autorità israeliane. A cominciare dal premier Netanyahu, il quale in un’intervista all’emittente Usa Abc News ha affermato di non escludere la possibilità di colpire e uccidere Khamenei. Rispondendo a domanda diretta sulle voci di un veto posto da Donald Trump all’uccisione della Guida Suprema, il capo del governo dello Stato ebraico ha detto che una tale eventualità “non inasprirà il conflitto ma vi porrà fine”. “Israele sta facendo quello che deve fare”, ha quindi aggiunto Bibi senza confermare esplicitamente se l'Idf colpirà davvero il leader iraniano.

Netanyahu ha accusato inoltre il regime degli ayatollah di “terrorizzare” tutti in Medio Oriente e di diffondere “terrorismo, sovversione e sabotaggio ovunque”. "La guerra eterna”, ha proseguito il premier israeliano, “è ciò che vuole l'Iran, e ci sta portando sull'orlo di una guerra nucleare. In realtà, ciò che Israele sta facendo è impedire che ciò accada, ponendo fine a questa aggressione, e possiamo farlo solo opponendoci alle forze del male". Parole che sembrano non lasciare spazio ad una soluzione diplomatica allo scontro tra i due Paesi - non almeno sinchè Khamenei sarà al potere – e che si aggiungono al recente appello fatto sempre dal premier israeliano al popolo iraniano per unirsi contro un "regime malvagio e oppressivo".

I raid aerei compiuti nella capitale dell’Iran non lontano dall'abitazione del leader religioso e dove sono collocati il Parlamento e alcuni ministeri confermano a scanso di equivoci che la Guida Suprema e le autorità del Paese sono nel mirino di Tel Aviv. La televisione Iran International, basata a Londra e voce dell’opposizione al regime all’estero sostiene comunque che Khamenei sia stato portato assieme ai suoi familiari, incluso suo figlio Mojtaba (nonchè potenziale successore), in un bunker nell’area di Lavizan, a nord-est di Teheran subito dopo l’avvio degli attacchi israeliani. Secondo la stessa fonte, Ali Asghar Hejazi, il vice capo di gabinetto della Guida suprema, starebbe trattando con Mosca per ottenere un salvacondotto in Russia per Khamenei e la sua famiglia nel caso in cui "la situazione si deteriorasse". Anche altri dirigenti della Repubblica Islamica starebbero facendo la stessa cosa mentre sui social media diversi utenti iraniani condividono video, la cui autenticità non è però stata acclarata, che mostrerebbero la partenza dall'aeroporto Mehrabad di Teheran di aerei con a bordo esponenti non identificati del regime teocratico.

Il pericolo di un attacco israeliano dall’alto non è l’unica preoccupazione per Khamenei che, anche in un rifugio sotterraneo, potrebbe cadere vittima di una congiura di palazzo o dell’azione di un infiltrato. Un’ipotesi resa più probabile dal livello di penetrazione in Iran dimostrato dagli operativi di Tel Aviv. Ne ha parlato sul New York Times l'opinionista Thomas L. Friedman che, citando la celebre serie televisiva "Tehran", ha alluso alla presenza di funzionari iraniani pronti a lavorare per Israele a causa dell’odio che provano verso il loro governo.

Ogni volta che i capi militari e politici si riuniscono”, ha scritto il celebre columnist, “ognuno di loro deve chiedersi se la persona che ha accanto a sé è un agente israeliano”. Un pensiero che con tutta probabilità in queste ore starà tormentando Khamenei e quel che rimane della leadership militare e politica della Repubblica Islamica.

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