"Trump può vincere il Nobel per la pace": la strategia dietro i piani del tycoon

Il New York Times spesso critico nei confronti del presidente Usa pubblica un editoriale in cui spiega come il capo della Casa Bianca potrebbe fermare il caos in Medio Oriente

"Trump può vincere il Nobel per la pace": la strategia dietro i piani del tycoon
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C'è un sentiero, alquanto stretto e complicato, per riportare la calma in Medio Oriente e far guadagnare a Donald Trump il tanto agognato premio Nobel per la pace. A indicarlo, segno dei tempi straordinari in cui viviamo, è il New York Times, il quotidiano liberal bestia nera per l'amministrazione repubblicana che nelle scorse ore ha pubblicato un video editoriale sul tema molto caro al tycoon, sempre più in cerca di distrazioni dal caso Epstein, a cura di Sam Ellis, autore di contenuti di geopolitica su YouTube, e dell'opinionista di politica estera Megan K. Stack, corrispondente per anni dalla regione mediorientale.

"Non volevo che Trump diventasse presidente", scrive Stack nel testo che accompagna il video, "ma una volta eletto mi sono chiesta se il suo impulso a distruggere le convenzioni potesse effettivamente avere un impatto positivo in Medio Oriente". La giornalista sostiene che lo status quo era "un incubo" e la risposta "inconcludente" della presidenza Biden alla situazione nella Striscia di Gaza, "ha incarnato decenni di politica statunitense fallimentare, immorale e autolesionista nella regione". Stack prosegue il suo ragionamento affermando che mentre migliaia di palestinesi morivano il vecchio Joe "fingeva di non avere alcuna influenza a sua disposizione" continuando a elargire denaro e armi a Israele.

Dal ritorno di Trump alla Casa Bianca il ciclo di violenza si è ulteriormente aggravato arrivando a sfiorare il conflitto totale e senza controllo con l'Iran e con le brutali azioni del partner storico degli Stati Uniti nella Striscia finite sotto la lente di ingrandimento della Corte di giustizia internazionale. Stack afferma che "tutto ciò deve finire" e "con un po' di abile diplomazia" il presidente Usa "ha un'opportunità generazionale per cambiare le dinamiche in Medio Oriente". I problemi che interessano la regione, precisa, non possono però essere affrontati singolarmente ma "in un unico pacchetto", in una sorta di riedizione in chiave geopolitica della legge finanziaria "Big, Beautiful Bill" firmata da Trump il 4 luglio davanti a una Casa Bianca sorvolata dai B-2 che hanno bombardato i siti nucleari iraniani.

La columnist del New York Times spiega che per ottenere la pace nell'area tormentata da crisi e guerre l'unico percorso possibile consiste nella firma di tre accordi interconnessi tra loro che andrebbero a rimuovere i timori che i principali protagonisti della partita nello scacchiere mediorientale - Israele, Iran, Arabia Saudita e Territori Palestinesi - nutrono l'uno nei confronti dell'altro. Il primo accordo riguarderebbe il programma nucleare iraniano e per Washington sarebbe il più facile da raggiungere a causa della posizione di forza guadagnata negli ultimi tempi dallo Stato ebraico sulla Repubblica Islamica. Pur non guardando a tale prospettiva con entusiasmo, Tel Aviv potrebbe essere costretta ad accettarlo per non perdere il sostegno militare americano.

Anche nel caso del secondo accordo, quello tra Israele e le autorità palestinesi, Trump potrebbe minacciare il blocco dell'invio delle armi necessarie allo storico alleato per continuare con le operazioni nella Striscia. Una mossa che per Stack sarebbe sufficiente per costringere il governo israeliano ad accettare compromessi. L'opinionista dichiara che d'altra parte lo Stato ebraico "ha bisogno di una via d'uscita" da un'impasse che sta creando gravi danni alla reputazione internazionale di Israele e il presidente Usa può offrirne una.

Se si arrivasse a creare un livello minimo di fiducia tra israeliani e palestinesi si potrebbe dunque arrivare allo sblocco del terzo accordo con il riconoscimento di Israele da parte dell'Arabia Saudita. Riad ha reso noto ai diretti interessati che sarebbe disposta ad avvicinarsi a Tel Aviv se quest'ultima riconoscesse lo Stato palestinese e se ottenesse da Washington garanzie di sicurezza rispetto alla minaccia iraniana. Elementi che verrebbero di fatto raggiunti proprio con la firma dei primi due accordi.

Per arrivare alla realizzazione di un tale scenario, rimarca Ellis in conclusione del video editoriale, il presidente dovrà mantenere un approccio transazionale, esattamente del tipo che contraddistingue da sempre Donald Trump. Il giornalista a questo punto chiede a Stack se davvero il tycoon si meriterebbe il premio Nobel se riuscisse a fermare il caos in Medio Oriente. "Dateglielo. Dategli quello che vuole", risponde la columnist aggiungendo che altri lo hanno ottenuto "per molto meno".

Un'allusione neanche troppo velata a Barack Obama, il quale fu insignito nel 2009 di tale riconoscimento, immeritatamente secondo diversi commentatori, pochi mesi dopo l'inizio del suo primo mandato.

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