Politica estera

Portacontainer e ponti a rischio: la nuova minaccia alle infrastrutture Usa

Dopo il crollo del Francis Scott Key Bridge preoccupa lo stato di decadenza in cui versano le infrastrutture americane. Un nuovo disastro potrebbe essere dietro l'angolo?

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Non basta la spasmodica attesa per l’eclissi solare totale visibile domani in diversi Stati americani a spegnere i riflettori su quel che resta del Francis Scott Key Bridge ripiegatosi sul fiume Patapsco il 26 marzo a seguito dell’impatto della portacontainer Dali contro uno dei suoi piloni. Joe Biden si è recato nelle scorse ore sul luogo del disastro in Maryland e, con alle spalle lo scheletro del ponte mortalmente ferito, ha promesso di “muovere cielo e terra” per ricostruirlo il più in fretta possibile. “Non riposeremo sinché il cemento non si sarà asciugato”, ha affermato il presidente citando l’ultimo messaggio inviato alla sua fidanzata da uno degli operai stradali morti nella tragedia.

Al di là della retorica, il crollo del Francis Scott Key Bridge ha riacceso l’attenzione sul pessimo stato in cui versano le infrastrutture americane. Secondo un report redatto nel 2019 dall’American Road and Transportation Builders Association, oltre 47mila ponti negli Stati Uniti, incluso quello iconico di Brooklyn a New York, sono in condizioni critiche e sarebbero necessari oltre 80 anni per mettere in sicurezza tutti i viadotti del Paese. Un terzo delle principali arterie stradali non è poi del tutto a norma e il 70% delle dighe ha più di 50 anni di vita.

Per la verità Trump e, soprattutto, il suo successore Biden, sono intervenuti per affrontare il problema. L’attuale inquilino della Casa Bianca è infatti riuscito nel primo anno del suo mandato a far passare al Congresso un maxi piano da oltre 1000 miliardi di dollari per ammodernare la rete dei trasporti. Piuttosto tempestivo è stato l’intervento di Washington e delle autorità locali nella tragedia in Maryland in cui hanno perso la vita sei persone. Se si punta a riaprire lo strategico porto di Baltimora entro la fine di maggio i tempi per la ricostruzione del ponte saranno però ben più lunghi.

La dinamica degli eventi nei quali ha giocato un ruolo chiave un mercantile fuori controllo ha inoltre aperto inquietanti interrogativi proprio sulla minaccia alle decrepite infrastrutture Usa rappresentata dalle dimensioni impressionanti raggiunte dalle portacontainer. Dal 1977, anno di apertura del Francis Scott Key Bridge, le imbarcazioni più grandi che facevano scalo nel porto di Baltimora potevano portare al massimo 3000 container. La nave cargo Dali, costruita nel 2015 e lunga 300 metri, ne aveva a bordo 4700 mentre quella più grande al mondo, la Msc Irina, lunga 400 metri, può trasportare oltre 24mila container.

Il Wall Street Journal, analizzando quanto accaduto in Maryland, sottolinea che non si sia trattato di un evento del tutto imprevedibile. Nel 1980 il mercantile Summit Venture impattò contro il Sunshine Skyway Bridge nei pressi di Tampa in Florida distruggendo una parte del ponte e provocando la morte di 35 persone. E adesso preoccupano in particolare altre otto infrastrutture che, come il Francis Scott Key Bridge, sono caratterizzate, tra le varie criticità, dalla mancanza di sufficienti protezioni attorno ai loro piloni. Tre di esse sono collocate sulla costa orientale degli Stati Uniti e cinque su quella occidentale. Per una curiosa coincidenza il ponte “più spaventoso” d’America, il Chesapeake Bay Bridge, sorge ad una quarantina di chilometri da Baltimora e consiste in due strutture parallele costruite nel 1952 e nel 1973.

Si tratta di un facile bersaglio in balia delle navi” afferma l’ingegnere Abe Aghayere lasciando intendere che un nuovo disastro potrebbe essere dietro l’angolo.

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