
Si infiamma lo scontro tra Donald Trump e il numero uno della Federal Reserve, Jerome Powell, che ieri dal forum della Bce di Sintra ha replicato con toni durissimi agli ultimi attacchi del presidente Usa. Lanciando un messaggio molto chiaro: senza i dazi, la Fed avrebbe già abbassato i tassi di interesse. E la prudenza è stata anche dettata dal fatto che la politica fiscale varata dalla Casa Bianca renderà insostenibile il debito Usa.
L’inflazione americana è scesa al 2,3% ma «quando abbiamo visto le dimensioni dei dazi ci siamo messi in attesa, tutte le previsioni d’inflazione sono salite.
Non è una reazione eccessiva, serve un po’ più di tempo: la cosa prudente da fare è aspettare e capire di più e vedere quali saranno gli effetti» delle tariffe sull’inflazione, ha spiegato Powell.
Sottolineando che «se non ci fossero stati i dazi di Trump, avremmo già tagliato di nuovo i tassi». Quanto al “Big Beautiful Deal” di Trump che aggiungerebbe 2.300 miliardi di debito in un decennio, ha commentato: «Una cosa che hanno detto i miei predecessori è che il livello del debito statunitense è sostenibile, ma la direzione non lo è e va affrontata prima o poi, meglio prima che poi». Il banchiere centrale ha lasciato aperta la porta a un possibile taglio dei tassi nei prossimi mesi, pur evitando di fornire un’indicazione precisa sulla tempistica. Alla domanda se il prossimo taglio possa arrivare già a luglio, Powell ha risposto con cautela: «Dipenderà dai dati.
Non posso dirlo. Non tolgo né aggiungo nulla al calendario, andremo riunione per riunione». Attualmente, il mercato prezza oltre il 76% di probabilità che la Fed mantenga invariati i tassi nella riunione di luglio con gli operatori che prevedono un primo taglio a settembre.
Lunedì la portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, aveva riferito che Trump ha chiesto a Powell di tagliare i tassi scrivendogli in una lettera che «come al solito è in ritardo» e che «è già costato agli americani una fortuna». Poche ore prima il presidente americano era tornato ad attaccare pubblicamente i vertici della Fed: «Dovrebbero vergognarsi. Hanno uno dei lavori più facili e prestigiosi in America e hanno fallito. Se avessero svolto correttamente il loro lavoro, il nostro Paese risparmierebbe miliardi di dollari in interessi», aveva scritto sul suo social Truth, sottolineando che la responsabilità è di Powell ma anche del board, che si limita a guardare.
Secondo un articolo pubblicato nei giorni scorsi dal Wall Street Journal, Trump vorrebbe accelerare la nomina del successore alla guida della Federal Reserve entro settembre. Tra i candidati ci sarebbero l’ex governatore della Fed Kevin Warsh, il direttore del Consiglio economico nazionale Kevin Hassett ma anche il segretario al Tesoro Scott Bessent, l’ex presidente della Banca mondiale David Malpass e Christopher Waller.
Poiché il nuovo presidente della Fed non entrerà in carica prima del maggio 2026, annunciare la sua nomina questa estate o in autunno significherebbe anticipare di molto il tradizionale periodo di transizione di tre-quattro mesi.
«Ho ancora 10 mesi di mandato e quello che spero di poter fare è di passare al mio successore un’economia in buona forma con un’inflazione sotto controllo», ha detto ieri Powell rispondendo a una domanda su quale sia la principale preoccupazione che lo tiene sveglio la notte.
Lo scontro con la Fed e l’ipotesi di un cambio al vertice ravvicinato sta intanto affondando il dollaro che ha registrato il suo primo peggiore semestre dal 1973.
Finora l’indice
della valuta statunitense, che misura la sua forza rispetto a un paniere di altre sei valute, tra cui la sterlina, l’euro e lo yen, ha registrato un calo di oltre il 10% nel 2025. E anche ieri ha continuato la sua caduta.