
C’è una verità che negli ultimi giorni si è palesata con la chiarezza brutale tipica dei momenti di verità geopolitici: gli Stati Uniti stanno facendo di tutto per eliminare qualsiasi ostacolo normativo che possa colpire i propri colossi tecnologici. È questo il motivo per cui Bruxelles sta meditando modifiche operative al Digital Markets Act, ed è sempre questo il motivo per cui il Canada, seppur con la morte nel cuore, ha dovuto fare marcia indietro sulla Digital Services Tax proprio lo scorso fine settimana. Il dietrofront di Ottawa, arrivato poche ore dopo la minaccia di Trump di interrompere i negoziati commerciali, la dice lunga su quanto sia velleitario il sogno di un asse euro-canadese in grado di “tenere testa” agli Stati Uniti. Il quadro reale è ben riassunto dalla lettera spedita da Mark Rutte a Washington: un documento che certifica, senza possibilità di equivoco, la dipendenza europea dall’ombrello americano. E non soltanto militare. Non è finita. Altro segnale inequivocabile della forza negoziale americana è l’accordo raggiunto dai ministri delle Finanze del G7: un meccanismo che, in pratica, esenta le multinazionali statunitensi dall’applicazione piena delle regole sul minimum tax globale al 15% previste dal Pilastro 2 dell’accordo OCSE. In cambio, Washington ha promesso di rimuovere la famigerata sezione 899 dal Big Beautiful Bill. Una norma pensata come una vendetta fiscale che avrebbe consentito agli USA di tassare i residenti esteri se i loro governi avessero approvato misure discriminatorie contro le aziende americane.
Tradotto: gli USA hanno minacciato in modo credibile di imporre una tassa unilaterale sui detentori stranieri di Treasury, ottenendo in cambio l’esenzione delle proprie aziende dalle regole fiscali globali. E qui sta il punto. L’accordo originario sull’imposizione minima globale era stato costruito in dieci anni di estenuanti negoziati, con due pilastri ben precisi: il Pilastro 1, che rialloca i diritti fiscali dove si realizzano effettivamente le vendite, e il Pilastro 2, che stabilisce una soglia minima di tassazione del 15% sui profitti delle grandi multinazionali. Il tutto per risolvere il caso Amazon: le grandi aziende americane che spostano utili in paradisi fiscali, ai danni delle casse degli Stati europei. E invece, con un colpo di spugna consumatosi in un weekend, gli europei e i canadesi hanno lasciato che lo schema di elusione fiscale continui più o meno indisturbato, segnando un pesante arretramento nella cooperazione multilaterale globale. Ma questo non è un caso isolato. È lo stesso copione che Trump e la Cina stanno recitando con sorprendente sintonia. La strategia è semplice: sul tavolo viene messa una proposta orrenda, e poi ti fanno pagare il prezzo per toglierla. Pechino, su questo terreno, gioca da fuoriclasse. Secondo il South China Morning Post, i funzionari europei hanno ribattezzato la strategia negoziale cinese “Stinking Fish”: tirano fuori un pesce marcio sul tavolo, costringendo l’interlocutore a trattare pur di far sparire la puzza. Un esempio su tutti: la Cina ha imposto licenze all’export delle terre rare verso gli USA, e guarda caso ora la questione sta contaminando anche il tavolo negoziale USA-UE. Il summit UE-Cina del 24-25 luglio a Pechino si annuncia in salita. L’Europa ha un unico obiettivo: garantirsi l’accesso alle terre rare e ai minerali critici cinesi, indispensabili per la transizione energetica e l’industria tech. Peccato che Pechino stia giocando al gatto col topo, trascinando i piedi sulle licenze all’export. Perché? Perché vuole in cambio l’abbattimento dei dazi UE sulle auto elettriche cinesi e lo stop al bando mirato sui dispositivi medici cinesi negli appalti pubblici europei.
Il risultato è lampante: l’Europa si ritrova schiacciata tra due superpoteri che, con stili diversi ma finalità identiche, stanno conducendo negoziati commerciali aggressivi su scala mai vista.
Da un lato, Washington impone la sua legge a suon di minacce sui Treasury e protezione ai giganti digitali; dall’altro, Pechino usa il monopolio sulle terre rare come armadi ricatto industriale. E Bruxelles? Paralizzata.
Perché la dipendenza è totale: sicurezza dagli Stati Uniti, materie prime dalla Cina.
E non ci sono margini, almeno nel breve termine,
per spezzare queste catene. L’illusione secondo cui in una guerra commerciale “perdono tutti” è, alla prova dei fatti, semplicemente naïve.Trump sta vincendo. E pure la Cina. E l’Europa, al solito, è lo spettatore pagante.