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Sanzioni aggirate in Russia? Lo scoop che colpisce l’Halliburton

Secondo il noto quotidiano britannico The Guardian alcune tra le più grandi aziende petrolifere del mondo continuano a fare affari con la Russia nonostante le sanzioni, a dimostrarlo sarebbero i registri doganali

Sanzioni aggirate in Russia? Lo scoop che colpisce l’Halliburton

Il mercato collegato all’oro nero non conosce sanzioni: Mosca avrebbe continuato a importare “tranquillamente” attrezzature per un volare di oltre sette milioni di dollari dalla Halliburton, azienda statunitense con un’expertise nel campo delle estrazioni petrolifere, anche dopo lo scoppio della guerra in Ucraina e l’imposizione delle sanzioni che dovevano colpire duramente l’economia della Federazione Russa. A dimostrarlo ci sarebbero i registri doganali che ora rischiano di mettere in una posizione tutt’altro che comoda un’azienda con sede a Huston, in Texas. L’azienda in passato è stata guidata dal chiacchierato ex-vice presidente dell’era Bush Jr: Dick Cheney.

A sollevare queste imbarazzante vicenda è stato il Guardian, nota testata giornalistica britannica, che ha pubblicato un articolo dove viene dichiaro che nel 2022 la Russia ha importato attrezzature Halliburton per un valore di 7,1 milioni di dollari nonostante fosse stata dichiarata la cessazione di ogni tipo di rapporto con Mosca, penalizzata a livello globale dopo l’aggressione armata lanciata nei confronti di Kiev, immediatamente osteggiata dall’intera Alleanza Atlantica.

Considerata come uno dei maggiori fornitori mondiali di prodotti e servizi per l’estrazione di petrolio e di gas, la Halliburton avrebbe continuato a “fare affari” dopo essersi liberata della sua sede in Russia a casa delle pressioni di Washington, tra le prime e maggiori sostenitrici dell’applicazione di sanzioni economiche ed embarghi da applicare per persuadere il Cremlino a cessare ogni tipo di ostilità in Ucraina.

I registri doganali russi visionati dal Guardian mostrano che “nonostante questa decisione di vendere l’8 settembre, le filiali della Halliburton hanno esportato apparecchiature per un valore di 5.729.600 dollari alla sua precedente attività in Russia nelle sei settimane successive alla vendita”. Tali attrezzature sarebbero giunte principalmente dagli Stati Uniti e da Singapore, ma anche dal Regno Unito, dal Belgio e della Francia. Insomma, tutte realtà che si sono mostrate decise nell’applicazione delle sanzioni da infliggere a Mosca.

La guerra non ha fermato l’export

Secondo quanto riporta il Guardian la maggior parte delle esportazioni dalle filiali della Halliburton sono “terminate il 6 ottobre” , ma l’ultima spedizione in Russia da parte di una società collegata al colosso texano riguarderebbe un particolare “elemento” di un valore di quasi tre milioni di dollari che sarebbe giunto dalla Malesia attraverso una società che risponde al nome di Sakhalin Energy. Ciò accadeva il 24 ottobre 2022. Il consorzio con sede a Južno-Sachalinsk, nelle distanti e strategiche Isole Curili, parte dell’Estremo oriente russo, sta sviluppando il progetto di petrolio e gas Sakhalin-2 nella Russia orientale. Tra i principali investitori appare l’immancabile Gazprom, mentre la britannica Shell, parte le progetto e del consorzio, ha disinvestito dopo l’invasione.

La testata inglese prosegue nell’asserire che dopo una “breve pausa”, nel dicembre 2022 sono “riprese le importazioni di apparecchiature Halliburton in Russia”, questa volta attraverso due società definite come “estranee “alla multinazionale statunitense. I componenti questa volta sarebbero stati importanti via Turchia, membro strategico della Nato che intrattiene rapporti con il Cremlino.

Tra le aziende beneficiarie dell’export proibito che non è sfuggito ai registri doganali, compaiono aziende russe come Gazprom, Rosneft, Tnk-Bp e Lukoil. Attraverso società parallele come la BurService, avrebbero tutte continuato ad acquisire indisturbate componenti essenziali per condurre perforazione di pozzi o additivi per cemento necessari a condurre determinate operazioni. Addirittura fino al giugno del 2023.

Una resa di Kiev sul fronte degli “affaristi”

La politica ucraina e tutto l’entourage dei think tank e delle piattaforme d’inchiesta impegnate a controllare l’applicazione delle sanzioni imposte alla Russia hanno raggiunto un livello di esasperazione elevato, considerate la continua scoperta di “vie parallele” e metodi per aggirare quello che insieme alla fornitura di sistemi d’arma difensivi uniti all’addestramento e alla condivisione di informazioni d’intelligence, doveva essere il fulcro per supportare l’Ucraina della sua “battaglia per la libertà”: l’impegno da parte dei principali gruppi industriali occidentali che isolando Mosca dovevano “costringerla” alla resa a colpi di guerra economica.

Il Cremlino, la quale economia è fortemente dipendente dall’esportazione di gas e petrolio, avrebbe dovuto risentire enormemente delle sanzioni occidentali. Almeno sulla carta e nelle proiezioni ipotizzate all’indomani dell’inizio del conflitto. La mancanza di componenti chiave o materiale d’importazione avrebbe dovuto “frenare” non solo la macchina bellica russa, e portare la sua intera economia fino ad un punto di non ritorno che però non è ancora mai stato raggiunto. Al contrario ad arrendersi, gradualmente, sembrano essere stati gli affaristi occidentali e i guardiani dell’import-export fedeli alla causa dell’Ucraina. Che continuano ad assistere, spesso impotenti, al talento delle società multinazionali capaci di svicolare e adottare strategie che permettono di continuare a fare affari con Mosca tramite intermediari più o meno insospettabili.

La Halliburton non è l’unica grande società statunitense che si è trovata ad affrontare interrogativi scomodi sulla propria condotta. Un’altra realtà menzionata è la Schlumberger Limited, attualmente ritenuta la più grande società per servizi petroliferi al mondo, e la Baker Hughes; sì, proprio quella derivata dalla fusione tra la Baker Oil Tool Company e la società per trivellazioni fondata dal padre dall’egocentrico e famoso Howard Hughes.

Una trama già sentita

Abbiamo già citato in passato il think tank StateWatch, entità con sede a Kiev che ha più volte portato l’attenzione della stampa sul lassismo di quei governi occidentali che invocano un inasprimento delle sanzioni nei confronti della Russia, ma poi non sono in grado di imporsi o convincere le grandi aziende a recidere ogni tipo di rapporto o contratto con le omologhe russe, o le sussidiarie che continuano a fare affari con Mosca e le aziende in mano agli oligarchi vicini a Putin.

Il capo del think tank ucraino, che ha già segnalato in passato come la Russia continui addirittura ad acquisire o vendere indisturbata componenti per missili guidati o altri sistemi d’arma, sostiene che aziende come Halliburton dovrebbero essere “incoraggiate” alla trasparenza, offrendo “garanzie” in grado di dimostrare che i “loro prodotti sono tenuti fuori dal mercato russo”.

Quando parliamo del caso Halliburton, dobbiamo capire che non può essere efficace se, per esempio, gli Stati Uniti o altri paesi non tentano di punire qualche azienda coinvolta in questo piano per spedire attrezzature Halliburton in Russia”. Del resto, basta rivolgersi in via informale a qualcuno del settore, anche in Europa, per capire che le vie del petrolio sono infinite.

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