Il segretario generale della Nato Rutte: "La Cina spingerà la Russia ad attaccare in caso di guerra per Taiwan"

In caso di conflitto per Taiwan, la Cina potrebbe facilmente spingere la Russia ad effettuare qualche tipo di azione aggressiva contro la Nato. Vediamo perché

Il segretario generale della Nato Rutte: "La Cina spingerà la Russia ad attaccare in caso di guerra per Taiwan"

Il segretario generale della Nato, Mark Rutte, ha affermato che “se la Cina dovesse agire contro Taiwan, è altamente probabile che costringerebbe il suo partner minore, la Russia di Vladimir Putin, ad agire contro la Nato per tenerci occupati” durante la 71esima sessione annuale dell'Assemblea parlamentare dell'Alleanza Atlantica tenutasi a Lubiana il 13 ottobre.

Rutte ha anche sottolineato che la Cina sta ottenendo molto in cambio del suo supporto alla Russia, come ad esempio petrolio e gas a basso costo, quindi significa anche che l'Indo-Pacifico e l'Euro-Atlantico non sono teatri separati, ma “sono completamente uniti” pertanto “per tutti questi motivi, dobbiamo assicurarci di collaborare con loro (i partner indo-pacifici) con la stessa determinazione”.

La possibilità che Pechino spinga Mosca a colpire la Nato – in qualche modo – in caso di scoppio di un conflitto per Taiwan è plausibile: la Repubblica Popolare Cinese (Rpc) sa che gli Stati Uniti stanno dirottando risorse militari nel settore dell'Indo-Pacifico proprio per scongiurare qualsiasi azione armate cinese nei confronti di Taiwan (o del Mar Cinese Meridionale) anche sottraendole al fronte europeo, dove comunque gli Usa mantengono una presenza di circa 100mila uomini. Pertanto l'avvio di un qualche tipo di contrasto diretto alla Nato da parte russa, in concomitanza con l'inizio di un conflitto per Taiwan, servirebbe a tenere inchiodate quelle risorse militari in Europa, e probabilmente a trasferirne di altre dagli Stati Uniti per difendere gli alleati della Nato. Probabilmente. Non è infatti detto che l'attuale presidenza statunitense decida di intervenire direttamente e in modo massiccio in caso di qualche tipo di attacco russo all'Alleanza, data la nuova politica dimostrata negli ultimi mesi.

Restando nel campo delle possibilità è bene precisare che la plausibilità di un simile evento, non significa automaticamente la sua fattibilità: la Russia, sebbene non sia così forte come sembrerebbe – la campagna ucraina sta assorbendo tempo e risorse preziose – rimane comunque una minaccia da non sottovalutare per le capacità di azioni aggressive diverse dalle operazioni militari convenzionali.

Non si deve infatti pensare che un possibile attacco russo alla Nato possa avvenire in modo classico, come per l'invasione dell'Ucraina: la Russia potrebbe facilmente riproporre uno scenario tipo “Crimea 2014” utilizzando la panoplia di tecniche di sovversione ben rodate che le sono proprie sin dai tempi dell'Unione Sovietica. Un attacco nella “zona grigia dei conflitti” ovvero compiuto sotto la soglia del conflitto aperto, effettuato con agenti infiltrati e milizie paramilitari composte da personale non riconducibile direttamente a Mosca, nei Paesi Baltici, come ad esempio in Estonia, non è affatto da escludere a priori considerando la propaganda russa che da qualche tempo riferisce della necessità di tutelare le minoranze russofone in quella regione, esattamente come avvenuto prima delle guerra in Ucraina. Anche per questo i Baltici stanno sostanzialmente militarizzando i loro confini con la Russia.

“Tenere occupata” la Nato, quindi, non significa esclusivamente optare per un'azione militare diretta, ma impegnare l'Alleanza nella continua e progressiva spese di risorse per far fronte a una minaccia che potrebbe facilmente concretizzarsi. L'ondata di droni che sta colpendo l'Europa centrale (Germania, Belgio, Olanda e Danimarca), sebbene di difficile attribuzione per quanto riguarda il mandante, rientra perfettamente in quest'ottica: provocare una reazione nell'Alleanza che tenga impegnate risorse militari, politiche, economiche e perfino sociali che potrebbero essere dirette altrove, come al contrasto diretto della politica russa, non solo in Ucraina, oltre a cercare di minare la tenuta democratica di un Paese attraverso la diffusione di sentimenti di insicurezza o, per contrario, di pacifismo estremo.

Si tratta del concetto di “guerra in profondità” postulato dai russi quando si chiamavano sovietici, e del concetto di “guerra permanente” che gli si associa. La Russia concepisce diversi livelli di conflitto prima dello scontro armato diretto, e noi in Europa da anni, da prima dell'invasione dell'Ucraina, siamo in conflitto con loro, o per meglio dire siamo il bersaglio del loro conflitto.

La Repubblica Popolare avrebbe poi delle leve non indifferenti per spingere la Russia in maggiori azioni ostili contro la Nato: oltre a una dipendenza energetica che è duplice (gli idrocarburi hanno un valore politico anche per chi li vende, non solo per chi li acquista, soprattutto se i possibili acquirenti sono pochi), c'è il sostegno – per ora indiretto ma un domani chissà – alla Russia nel conflitto, fatto di componenti ad alta tecnologia come microchip, semiconduttori,

materiali compositi, oppure di droni di piccole dimensioni che finiscono per diventare, una volta modificati, strumenti bellici, nonché batterie al litio e fibra ottica, componenti essenziali proprio per la “guerra dei droni”.

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