La diplomazia della porta.
Quella a cui sono stati messi cinque cittadini europei da un Paese ancora formalmente alleato, gli Stati Uniti. Tra essi il più in vista è l’ex commissario europeo agli Affari digitali, il francese Thierry Breton, ma ci sono anche Anna-Lena von Hodenberg e Josephine Ballon di HateAid, una ong tedesca, Clare Melford, capo del britannico Global Disinformation Index, e Imran Ahmed del Center for Countering Digital Hate, che ha sede a Londra. Quest’ultimo peraltro ha intentato una causa contro l’amministrazione Trump.
A tutti è stato vietato l’ingresso negli States: niente visto perché svantaggerebbero le aziende tecnologiche americane sostenendo una regolamentazione più severa del settore tecnologico. La guerra social tra Stati Uniti ed Europa va avanti da almeno un anno e mezzo, da quando nel nostro continente è entrato in vigore il Digital Services Act (Dsa), una legge che impone alle piattaforme online regole più rigide sulla moderazione dei commenti, sul controllo dei contenuti e della pubblicità, sulla mitigazione dei fenomeni illegali e sulla protezione dei dati. Norme che in Europa sono considerate uno strumento necessario per rendere la Rete un ecosistema più sano e accogliente ma che negli States sono percepite come illiberali e contrarie alla libertà di espressione tutelata dal Primo Emendamento e, dall’America più conservatrici, un tentativo di mettere il bavaglio al «discorso di destra».
Le norme del Dsa hanno efficacia in Europa, ma hanno spinto le Big Tech (Microsoft, Apple, Alphabet titolare di Google, Amazon e Meta che controlla Facebook) ad adeguarsi in tutto il mondo ai nuovi standard, non fosse altro che per ridurre costi e rischi legali, con il risultato di imbrigliare anche la «piazza pubblica» statunitense. «Questi attivisti radicali precisa il Dipartimento di Stato Usa riferendosi ai cinque bannati - e le ong che agiscono come strumenti di pressione hanno promosso misure repressive di censura che prendono di mira aziende americane».
A far rumore naturalmente è soprattutto il respingimento di Breton, considerato il padre del Dsa e aduso agli scontri con Elon Musk e gli altri faraoni hi-tech. «La caccia alle streghe di McCarthy è tornata?
», scrive lui su X aggiungendo: «Ai nostri amici americani: la censura non è dove pensate che sia». Il presidente francese Emmanuel Macron, che promette: «Gli europei continueranno a difendere la loro sovranità digitale e la loro autonomia normativa». E la vicepresidente della Commissione europea responsabile per la Concorrenza, Teresa Ribera, dice al Financial Times che «a essere minacciate sono l’agenda verde e quella digitale, i principali motori della competitività».
Airbus, la principale compagnia aeronautica europea, ha annunciato ieri che intende ridurre la dipendenza da Amazon, Google e Microsoft per dati e applicazioni strategiche, puntando su un cloud europeo «veramente sovrano», come ha detto ieri la vicepresidente per gli Affari digitali del gruppo Catherine Jestin, secondo la quale «l’80 per cento di possibilità» di individuare una soluzione Ue efficace. L’obiettivo è tenere le informazioni più sensibili al riparo dalle norme Usa, in particolare il Cloud Act.
La guerra tecnologica non è combattuta per la libertà di espressione, ma per i soldi. Come tutte le guerre, alla fine.