Guerra in Israele

Tregua umanitaria e aiuti ai civili: cosa vogliono gli Usa per il futuro di Gaza

L'amministrazione americana sta lavorando per tregue umanitarie e ragiona sul futuro della Striscia di Gaza. L'obiettivo è quello di rafforzare l'Anp di Abu Mazen, ma i dubbi sul medio termine rimangono

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Mentre le truppe israeliane avanzano nel cuore di Gaza, il principale alleato dello Stato ebraico, gli Stati Uniti, riflettono sul futuro della Striscia. Un punto su cui l'amministrazione Biden e il governo di Benjamin Netanyahu non sembrano avere le idee particolarmente simili.

Washington ha chiarito sin da subito le sue linee guida sul presente, e dunque sul conflitto. Per gli Stati Uniti non ci sono dubbi: Israele ha tutto il diritto di difendersi e di fare in modo che quanto accaduto il 7 ottobre non si ripeta più. Per arrivare a questo risultato, gli Usa sostengono la legittimità dell'operazione militare israeliana soprattutto se indirizzata verso l'obiettivo della distruzione di Hamas. Se queste sono certezze che caratterizzano la diplomazia di Joe Biden e del suo segretario di Stato, Antony Blinken, diverso è però l'approccio al conflitto. Gli Usa vogliono evitare che l'escalation si allarghi al Medio Oriente ma soprattutto vogliono evitare che Israele superi delle linee rosse sulla protezione degli ostaggi e della popolazione civile che per Washington sono fondamentali anche per mantenere la stabilità della regione. Biden e Blinken l'hanno fatto capire in modo molto chiaro a Netanyahu e al gabinetto di sicurezza israeliano. E anche se lo stesso segretario di Stato ha escluso che possa essere chiesto alle Israel defense forces un cessate il fuoco, l'obiettivo Usa è quello di arrivare a tregue umanitarie che aiutino a portare aiuti, far fuggire gli ultimi civili e provare a negoziare la liberazione degli ostaggi.

L'altra direttrice su cui si orienta la diplomazia americana è quella del futuro della Striscia di Gaza. Washington da tempo valuta gli scenari per il dopoguerra, e sembra orientata a privilegiare ancora una volta lil principio dei due popoli due Stati. Per questo motivo, da Oltreoceano hanno chiarito più volte che l'exclave palestinese di Gaza dovrà rimanere sotto autorità palestinese anche dopo questo conflitto. Ed è stato più volte chiesto a Israele di evitare qualsiasi ipotesi di occupazione della Striscia. L'obiettivo è quello di rivitalizzare l'Autorità nazionale palestinese: quella struttura ormai obsoleta e apparsa del tutto inefficace ma che può servire come base per riattivare il dialogo tra le parti una volta eliminata Hamas.

Non si tratterebbe però di un passaggio istantaneo, dal momento che appare chiaro che la guerra, la situazione della Striscia dopo il conflitto e il vuoto di potere successivo alla caduta di Hamas potrebbero richiedere tempi lunghi per ripristinare l'autorità dell'Anp e nello stesso tempo rafforzarla. Anche trovando un successore di Abu Mazen.

Proprio per questo motivo, sono in molti a credere che non sia da escludere un controllo temporaneo di Israele sulla Striscia di Gaza, anche perché il generale Benny Gantz ha chiarito che non ci sono limiti temporali per l'operazione militare in corso. Mentre gran parte della comunità internazionale, compresi gli Stati Uniti, riflettono su un impegno internazionale con una possibile forza di interposizione sul modello di Unifil in Libano e su un mandato delle Nazioni Unite.

Questione non semplice. In primis perché l'Onu ha dei meccanismi burocratici complessi.

In secondo luogo, perché i rapporti tra Palazzo di Vetro e Israele sono ai minimi termini e sembra difficile che lo Stato ebraico avalli una presenza così capillare e forte delle Nazioni Unite dopo che anche lo stesso segretario generale è stato coinvolto in un duro confronto con i più alti funzionari del governo Netanyahu.

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