Il terzo incomodo nella storia americana. Non può vincere, ma può far perdere

Rompere il duopolio? Perot "aiutò" Clinton contro Bush

Il terzo incomodo nella storia americana. Non può vincere, ma può far perdere
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La sfida lanciata da Elon Musk con l’America party, terzo partito oltre a quello repubblicano e democratico, non è inedita nella storia degli Stati Uniti ma è costellata da insuccessi e corse a perdere. Il sistema elettorale americano è infatti costituito da collegi maggioritari in cui il candidato che prende più voti viene eletto dissuadendo così dalle candidature terze che hanno scarsissime possibilità di vittoria. In particolare negli swing States o nei collegi più contesi scatta il richiamo al voto utile che abbatte le percentuali di chiunque cerchi una terza via.

Per conquistare i «grandi elettori» è necessario arrivare primi nei singoli stati rendendo così le elezioni presidenziali una contesa federale ancor prima che nazionale.

Basti pensare che occorre andare indietro fino al 1968 per risalire all’ultima volta in cui un terzo candidato estraneo al Partito Democratico o Repubblicano riuscì ad eleggere grandi elettori. Si trattava del già governatore dell’Alabama George Wallace che ottenne il 13% di voti nazionali ma, grazie al radicamento nel profondo sud, conquistò 46 grandi elettori. L’esempio più noto di come un importante risultato in percentuale a livello nazionale non corrisponda a un successo politico è quello di Ross Perot alle presidenziali del 1992. Pur avendo ottenuto il 19% di voti nazionali ed essendo arrivato addirittura secondo in due stati (Utah e Maine) nella sfida tra Clinton e Bush, non riuscì a eleggere nemmeno un grande elettore. Ottenne però un risultato che dovrebbe rappresentare un monito per Trump: grazie ai 19 milioni e 643 mila voti ottenuti fece perdere George Bush avendo intercettato un elettorato in prevalenza repubblicano. Quattro anni dopo Perot ci riprovò con il «Reform party» ottenendo l’8,4% di voti nazionali, comunque un numero molto elevato.
Nella storia americana il miglior risultato di un candidato indipendente è stato nel 1912 con il 27% di voti e 88 grandi elettori ottenuti da Theodore Roosevelt.

Negli anni più recenti ci sono stati altri tentativi come il Green Party di Ralph Nader nel 2000 (che ha ottenuto il 2,7%) e di Jill Stein del 2012 (0,4%) o con il Partito Libertario di Gary Johnson.

Nel 2016 il New York Times pubblicò la notizia della possibile candidatura come indipendente alla presidenziali del miliardario Michael Bloomberg mettendo a disposizione per la campagna elettorale oltre un miliardo di dollari a causa della possibile sfida tra Bernie Sanders e Donald Trump ma, la vittoria di Hillary Clinton alle primarie democratiche, lo spinse a fare un passo indietro. Il suo caso è significativo della necessità di ingenti risorse economiche (che non mancano a Elon Musk) per costruire una candidatura da indipendente. Secondo la sua intelligenza artificiale Grok, l’America Party potrebbe attestarsi tra il 5% e il 10% di voti.

Non bisogna però dimenticare un aspetto fondamentale: essendo nato in Sud Africa Elon Musk non può candidarsi a presidente degli Stati Uniti, una limitazione che gli impone di

trovare un altro frontman se davvero vorrà presentare l’America Party alle prossime presidenziali. La domanda è però scontata: chi accetterà di correre come candidato presidente sapendo di dover essere il numero due di Musk?

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