Trump in Medioriente: petrolio e data center

La proiezione strategica degli Stati Uniti nella regione, da quanto è emerso, sarà con molte probabilità caratterizzato da un approccio meramente pragmatico, orientato dagli interessi economici piuttosto che da un engagement ideologico

Trump in Medioriente: petrolio e data center
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L'assenza di Jared Kushner, artefice degli Accordi di Abramo e in passato consigliere alla Casa Bianca per il Medio Oriente, segna un cambio di passo decisivo nel primo viaggio di Donald Trump nel Golfo. La proiezione strategica degli Stati Uniti nella regione, da quanto è emerso, sarà con molte probabilità caratterizzato da un approccio meramente pragmatico, orientato dagli interessi economici piuttosto che da un engagement ideologico. La trasferta del tycoon in Arabia Saudita arriva un secolo dopo che Thomas Edward Lawrence guidò le tribù contro gli ottomani. In una regione che, a distanza di cent'annni dai celebri accordi di Sykes-Picot, è cambiata radicalmente.

Quelle linee nella sabbia, tracciate segretamente da inglesi e francesi per spartirsi le aree di influenza, poco a poco sono state cancellate dal vento delle rivolte e delle contro-rivoluzioni. Se il Vicino e Medio Oriente era un grande mosaico etnico e religioso, oggi, con la caduta della Siria di Assad, ultimo grande Stato realmente multi-culturale, e la progressiva emorragia delle comunità cristiane, sta diventando una regione divisa in micro-nazioni monoconfessionali dove prevale il fattore etnico. La Turchia ai turchi sunniti; l'Armenia agli armeni cristiani; Israele agli israeliani ebrei; il Kurdistan ai curdi; l'Iran agli iraniani sciti; la Siria agli arabi sunniti; e via discorrendo.

Con la scommessa della «balcanizzazione», preceduta da un progressivo disimpegno militare e una ridefinizione della politica delle sanzioni economiche, le grandi potenze mirano a disinnescare qualsiasi ipotesi di conflitto. Per questo motivo, dal punto di vista di tutti gli attori esterni, è necessario un dialogo tra la Repubblica Islamica dell'Iran e l'Arabia Saudita per il mantenimento di un equilibrio geopolitico, dunque di una stabilità regionale.

Il tempo dell'esportazione della democrazia è finito; è cominciato quello degli affari. Con l'energia al servizio dell'intelligenza artificiale. Grazie alla rivoluzione dello scisto infatti, gi Stati Uniti sono passati da importatori ad esportatori netti di energia. Ora, insieme all'Arabia Saudita e alla Russia, sono tra i primi produttori mondiali di idrocarburi. In sintesi, gli Stati Uniti (come la Russia) non hanno più realmente bisogno del Vicino e Medio Oriente come serbatoio di risorse. E non a caso, Donald Trump è stato accompagnato a Riad dai massimi esponenti del mondo tecnologico statunitense da Elon Musk (Space X) a Mark Zuckerberg (Meta), da Sam Altman (OpenAI) a Jensen Huang (Nvidia) firmando accordi per miliardi di dollari. I petrolieri di ieri sono i padroni della Tecnica di oggi.

A Washington è ormai sempre più chiaro che la natura della guerra, con l'intelligenza artificiale, cambierà profondamente il corso della storia. L'agenda della Casa Bianca coincide con l'ambizione dell'Arabia Saudita di diversificare la sua economia, rompendo la dipendenza dal petrolio, e posizionandosi come attore globale nell'innovazione. La priorità dell'amministrazione statunitense è proprio quella di levare la «sabbia» sotto ai piedi alla Repubblica Popolare Cinese nella corsa agli armamenti del XXI secolo.

La grande partita si gioca sulla scacchiera bellica dei data center di intelligenza artificiale, di conseguenza sulla spostata sulla produzione di sistemi missilistici basati su satelliti, ma soprattutto di droni senza operatori al comando. Benvenuti nell'era della volontà di potenza di calcolo.

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