
Annunciata la tregua con il Dragone, con un ordine esecutivo dal potenziale impatto dirompente sul mercato farmaceutico globale, Donald Trump ha annunciato una radicale revisione della politica americana in materia di prezzi dei farmaci. Al centro del provvedimento, il principio della “nazione più favorita”, che vincola i prezzi dei medicinali statunitensi a quelli più bassi praticati nei paesi OCSE comparabili. “I prezzi verranno ridotti quasi immediatamente del 50, 80, persino 90%”, ha dichiarato il presidente durante una conferenza stampa alla Casa Bianca.
Il nuovo provvedimento
Trump ha posto l’accento su una redistribuzione del peso economico: “Non sto colpendo le case farmaceutiche, sto colpendo i Paesi che hanno costretto queste aziende a praticare prezzi iniqui. Gli Stati Uniti non sovvenzioneranno più i sistemi sanitari stranieri”. Una dichiarazione che prelude a uno scontro diretto con l’Unione Europea, da lui definita “più brutale della Cina”, ossia rea di imporre prezzi calmierati grazie ai quali beneficia indirettamente dei costi sostenuti dal contribuente americano.
Il nuovo provvedimento incendiario, presentato accanto al Segretario alla Salute Robert F. Kennedy Jr., concede alle aziende farmaceutiche un termine di trenta giorni per negoziare volontariamente la riduzione dei prezzi. Qualora non si giungesse a un accordo, entrerà in vigore una normativa che lega i prezzi praticati negli Stati Uniti a quelli minimi internazionali. È previsto inoltre il taglio delle intermediazioni e l’apertura del mercato statunitense all’importazione sicura e legale di farmaci a basso costo da Paesi terzi. Trump non ha esitato a minacciare l’uso della leva tariffaria nei confronti di governi stranieri che non si adegueranno alla nuova impostazione: “Indagheremo su Paesi e aziende che contribuiscono a questo squilibrio e aggiungeremo dazi se necessario. Tutti devono pagare lo stesso prezzo: è una questione di equità”.
Le reazioni negli Usa
L’iniziativa ha immediatamente scatenato reazioni veementi. L’industria farmaceutica americana, attraverso la sua principale lobby, PhRMA, ha definito il provvedimento “un cattivo affare per i pazienti” e un colpo potenzialmente letale per gli investimenti in ricerca e sviluppo. “Importare i prezzi esteri rischia di sottrarre miliardi al programma Medicare senza alcuna garanzia di benefici concreti per i pazienti”, ha affermato Stephen J. Ubl, presidente e amministratore delegato dell’organizzazione.
Il gruppo di pressione statunitense è recentemente tornato più volte sul tema, sostenendo che i dazi sull'industria biofarmaceutica minaccerebbero la continuità degli investimenti e il progresso medico. Ogni dollaro speso in dazi è un dollaro che non può essere speso per sviluppare i trattamenti e le cure di domani o per la produzione industriale statunitense.
L’approccio del presidente, tuttavia, non è nuovo: già alla fine del suo primo mandato, Trump aveva tentato una mossa simile, poi bloccata da una sentenza federale sotto l’amministrazione Biden. Questa volta, però, il contesto è mutato e la misura si presenta come una delle colonne portanti della sua agenda economico-sanitaria.
Lo scontro con l'Unione Europea
Sul fronte internazionale, l’Unione Europea osserva con crescente inquietudine l’evolversi della situazione. Bruxelles ora teme che un'escalation possa minacciare l’intero impianto della cooperazione commerciale transatlantica. I Paesi europei maggiormente esposti – come l’Irlanda, sede di numerose multinazionali farmaceutiche americane, e l’Italia, tra i primi produttori e esportatori europei di medicinali – rischiano di subire gravi ricadute in termini economici e occupazionali. Per l’Italia, in particolare, il provvedimento potrebbe incidere su export, catene di fornitura e investimenti diretti esteri.
Le case farmaceutiche europee hanno sollecitato l'UE a consentire prezzi più elevati per i farmaci, avvertendo che senza maggiori incentivi agli investimenti, l'Europa resterà ancora più indietro rispetto agli Stati Uniti. Le minacce di dazi statunitensi sui prodotti farmaceutici hanno spinto diverse aziende ad annunciare investimenti produttivi nel Paese, tra cui le svizzere Novartis e Roche, e le aziende statunitensi Johnson & Johnson e Gilead Sciences. Trump ha accennato a una tregua per le aziende, affermando che verrà concesso loro "molto tempo" per trasferire le operazioni negli Stati Uniti prima di dover affrontare i dazi.
Trump ha motivato la sua iniziativa con un richiamo alla giustizia fiscale e sanitaria: “I nostri cittadini meritano di pagare quanto pagano i tedeschi, i francesi, i canadesi. Per decenni abbiamo sovvenzionato il mondo. Ora è il momento che il mondo paghi la sua parte”.
In attesa delle contromosse europee e di eventuali risposte legali da parte dell’industria, la nuova dottrina farmaceutica americana si profila come il preludio a un’inversione di paradigma nei rapporti tra salute pubblica, mercato e geopolitica. La “guerra dei farmaci”, fino a ieri solo retorica, si candida ora a diventare un dossier cruciale nella ridefinizione dei rapporti globali di forza.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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