
La Striscia di Gaza diventa ogni giorno di più uno spartiacque fra destra e sinistra. E non solo in Italia. Certo, c'è molta tattica: povero d'idee politiche, ma abituato a far forza sull'indignazione morale, il campo progressista ha trovato nel Medioriente una causa ideale. Dichiarando che se fosse stato eletto avrebbe riconosciuto la Palestina, il candidato del «campo largo» alla presidenza della Regione Marche, Matteo Ricci, non ci ha dato che l'ultima manifestazione, e non la più nobile, di quest'uso tattico della catastrofe mediorientale.
Ma se ci fermassimo alla tattica non capiremmo. C'è molto di più: Israele occupa una posizione cruciale nella nostra idea di quel che è l'Occidente e di come i suoi valori debbano essere difesi. È il nodo più sensibile e intricato della guerra civile identitaria che sta squassando Europa e Stati Uniti, e il modo in cui ciascuno di noi lo affronta scopre il nucleo profondo della sua posizione politica e culturale. Il dilemma che Israele ci presenta è semplice, ed è lo stesso che le democrazie liberali debbono sciogliere ogni qual volta si trovino di fronte a un avversario non liberale: giocarsi la vita o giocarsi l'anima? Restare fedeli a se stessi correndo il rischio che l'antagonista prevalga o ripagare il nemico con la sua stessa moneta a costo di rinunciare ai propri valori?
Il primo quarto del Ventunesimo secolo ha visto il cosiddetto «Sud Globale» farsi sempre più assertivo e sfidare l'egemonia occidentale. Indebolito da decenni di sfarinamento identitario, di fronte al montare della sfida l'Occidente si è spaccato in due come una mela. Tanto più che la questione non è solo internazionale ma pure domestica: quando provengono da tradizioni scarsamente compatibili coi valori liberali, gli immigrati e i loro figli e nipoti portano la scelta fra vita e anima al centro dei nostri sistemi politici. Scheggia occidentale incuneata in una terra dominata dalla più forte fra quelle tradizioni, l'islam, Israele è diventato così la cartina al tornasole della crisi di coscienza dell'intero Occidente.
Posti davanti al dilemma, i progressisti non hanno dubbi: scelgono l'anima. Soprattutto per i più radicali di loro, la scelta deriva pure dalla convinzione che la vita dell'Occidente sia stata così inadeguata ai suoi valori, una sequela di errori e orrori, a tal punto che non solo non vada salvata, ma debba anzi essere rinnegata ed espiata. Ne deriva il cortocircuito per il quale, purché non siano occidentali, tradizioni profondamente illiberali vengono esaltate nel nome della libertà, e che si è manifestato qualche giorno fa nell'ormai celebre flottiglia diretta a Gaza, quando musulmani e attivisti omosessuali si sono scoperti incompatibili. Per non dire di un altro cortocircuito, forse ancor più macroscopico: il primo fra gli orrori per cui l'Occidente non meriterebbe salvezza è la Shoah.
Ma soprattutto, chi sceglie l'anima sulla vita si trova di fronte a un problema non da poco: che si perda l'anima per salvarsi la vita è un rischio, ma che la si perda se si muore è una certezza. Chi pensa che più l'Occidente s'indebolisce più i suoi valori trionferanno, che dal suo cadavere germoglierà infine l'emancipazione universale di popoli e individui, è vittima di un'illusione perniciosa. È ben evidente, ogni giorno più evidente, che accade l'esatto contrario: più deperiamo, più i princìpi democratici e liberali si sgretolano. Confusamente consapevole di quest'illusione, il senso comune degli elettori li spinge allora sempre più a destra, nelle braccia di chi fra la vita dell'Occidente e la sua anima sceglie senz'altro la vita. Ma non per questo chi ha a cuore i valori occidentali può dormire sonni tranquilli: la perdita dell'anima resta comunque un pericolo incombente.
La guerra civile identitaria fra destra e sinistra amplifica la nostra crisi. Ci salveremo soltanto se sapremo uscirne ritrovando l'equilibrio fra vita e anima, ammesso che esso sia ancora possibile. E in Medio Oriente se sapremo compiere la missione impossibile di tutelare allo stesso tempo i diritti dei palestinesi e la sicurezza di Israele.
Con immense incertezze, limiti e ritardi, con accenti diversi, è quest'equilibrio che inseguono in definitiva le proposte di mediazione statunitense, l'iniziativa congiunta di Francia e Arabia Saudita e, per quel che gli compete, il governo italiano. Dimostrando come in questo caso la politica sia ben più matura e consapevole della società civile.