Amato: "Io laico, vedo un Leone che difende la tradizione"

L’ex presidente del Consiglio Giuliano Amato: "Tutelerà i valori ma ammorbidirà i cattolici trumpiani sui migranti"

Amato: "Io laico, vedo un Leone che difende la tradizione"

Il Papa americano?

«È un segnale, un segnale su cui dobbiamo ragionare». Alla vigilia del suo ottantasettesimo compleanno, Giuliano Amato riflette sull'inatteso avvento di Robert Prevost, da pochi giorni Leone XIV.

«Vede, io nel 2003 ero vicepresidente della Convenzione e da laico mi battei per citare nel preambolo del Trattato di Lisbona le radici cristiane dell'Europa. Ma non ci fu nulla da fare».

Anche i cattolici, in generale, si mostrarono tiepidi e imbastirono una difesa d'ufficio, nulla più. Oggi la storia presenta in qualche modo il conto, con l'irruzione del pontefice venuto da Chicago?

«Io non sopravvaluterei quel fatto, quella circostanza. Diciamo che l'opposizione francese, in nome di una a mio parere malintesa idea di laicità, bloccò tutto. E si ripiegò su un testo in cui si parlava genericamente delle radici religiose dell'Europa. Un testo leggermente meno ipocrita di quello, precedente, preambolo alla Dichiarazione dei diritti del cittadino europeo, in cui si accennava solo alle radici spirituali'. Ancora meno. Però»

Però?

«Però possiamo tenere viva la domanda in modo suggestivo: saremmo nella stessa situazione se le radici fossero state menzionate nelle carte costituenti dell'Unione europea?».

Il Dottor Sottile, ex presidente del Consiglio ed ex presidente della Corte costituzionale, non si lascia imbrigliare dentro slogan o pensieri dal guinzaglio corto.

«Io sono per il dialogo e il dialogo nasce dall'incontro fra culture diverse, nel tentativo di trovare valori comuni, valori condivisi da laici e cattolici, al di là delle convenienze».

C'è un'urgenza in questa direzione nella nostra società?

«Io penso che questo sarà il Papa del dialogo e ammorbidirà le posizioni dei cattolici americani che in generale sono asserragliati in tradizionaliste e in qualche modo condividono le posizioni di Trump, per esempio sull'immigrazione illegale».

Quindi Leone è un progressista o un conservatore?

«Chiunque sia aperto al dialogo è un progressista, ma lui, sin dal nome Leone, è attento alla componente conservatrice. Direi di più: vuole difendere i valori della tradizione, vuole conservarli, si rivolge dunque a quella parte dei cattolici e pure della società americana».

Leone ha criticato il politically correct che considera la religione qualcosa di sentimentale, adatto a persone di scarsa levatura.

«È presto per dare giudizi impegnativi, ma certo quell'invito a usare la ragione è musica per le mie orecchie di laico. Io mi impegnai molti anni nel Cortile dei Gentili, nato proprio da un dibattito cui parteciparono l'allora cardinale Ratzinger e il filosofo tedesco Habermas. I due avevano capito una questione di fondo che riguarda l'Occidente intero, magari con qualche differenza da paese a paese: lo sbriciolamento etico in cui ciascuno si ritaglia una morale fai da te e detto in soldoni ciascuno fa i cavoli suoi. Questo provoca un disagio di fondo e ci costringe a riflettere sull'evoluzione della storia a partire dalla Rivoluzione francese».

Cominciamo dal 1789. La laicità è approdata al nichilismo?

«Il patrimonio religioso è finito ai margini e un po' alla volta è diventato irrilevante. Ma specularmente anche la cultura laica si è trasformata, ripiegandosi sempre più su se stessa».

C'è insomma il bisogno di trovare un nuovo punto di equilibrio fra fedi e culture diverse?

«Certo, è quello per cui mi batto, da laico, da laico che invidia chi ha la fede, una marcia in più, nel Cortile dei Gentili, ma non solo. Quando ero alla Consulta, mi sono dato da fare per arrivare a una sentenza sul suicidio assistito. Ma abbiamo cercato sempre di lavorare in modo condiviso, laici e cattolici, per giungere appunto a un possibile punto di incontro, o almeno arrivarci il più vicino possibile»..

E dove siete arrivati?

«Abbiamo stabilito che si può dare l'ok al suicidio assistito quando la vita non è più vita, ma questo non può aprire la strada a mille interpretazioni e eccezioni».

Un modo di procedere che vale anche per l'aborto?

«Vale per tutte le questioni di fondo. Un conto è riconoscere, come ho sempre fatto, che in certe situazioni l'aborto è una dolorosa necessità, altra cosa è farlo diventare una forma di contraccezione. Un atto che si può compiere quando si vuole. Negli Stati Uniti, dagli anni Settanta, si è affermata la legittimità dell'interruzione della gravidanza addirittura fino alla ventisettesima settimana. Questo, pur deciso dalla corte suprema di allora, si è rivelato sempre più irragionevole».

Risultato?

«Una sentenza opposta della Corte di oggi e leggi statali rigidamente antiabortiste. La società si è polarizzata con contrapposizioni frontali e incomunicabilità assoluta tra i contendenti. Oggi abbiamo società frammentate e sbriciolate, con una capacità di comprensione dell'altro, perché questa è l'essenza del dialogo, vicina allo zero. Dobbiamo imparare a superare queste divisioni, dobbiamo riscavare alla ricerca di quei valori comuni, dobbiamo metterci in ascolto e credo che Leone percorrerà questa strada. A mio parere Francesco aveva sbagliato nel definire l'aborto un crimine e i medici sicari, però il relativismo assoluto è la malattia della nostra epoca».

Forse l'arrivo di Papa Leone è un segnale, per usare il suo vocabolario, di un sentimento religioso più vivo da quelle parti?

«È una bella domanda. Mi colpisce quel che ho letto qualche giorno fa sul New York Times».

E che cosa ha letto?

«I cattolici americani, anche i giovani, riscoprono e chiedono la messa preconciliare: in latino e con il prete che dava le spalle ai fedeli. Certo, dobbiamo capire se si tratta di qualche caso o di tendenze più diffuse, però il fenomeno è interessante. Francesco ha contribuito a risvegliare il senso religioso, ora entriamo in questa fase di dialogo. C'è un grande bisogno di religiosità e di tradizione. Io credo molto in questo spirito di collaborazione, ne è frutto anche il libro recente a sei mani, Il sogno di Cusano, con monsignor Paglia e un altro laico come Giancarlo Bosetti».

Giuliano Amato rimane un laico?

«Non ho ricevuto, per dirla alla Pascal, la grazia. Ma l'apprezzamento, e forse invidia, resta».

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