L'ora dei dazi sulle guerre

L’ospite schifoso e sgradito non è una zia innocua. È anche per noi, come si dice adesso, una minaccia esistenziale, che non è un aggettivo da cabaret berlinese sull’inutilità della vita, ma ne va del futuro. La guerra succhia sangue altrove, per ora, ma ci sta mettendo le mani nel piatto

L'ora dei dazi sulle guerre

La guerra è diventata a tal punto ospite abituale alla nostra tavola, anche se ci fa schifo, dato che perde sangue dai denti, che giriamo lo sguardo, fingiamo sia la vecchia zia innocua, e non la coinvolgiamo più nei nostri discorsi. Abbiamo scelto un altro nemico, per garantirci la dose minima di orrore e di indignazione necessari per sopravvivere: il caldo, eletto a Nuovo Cannibale. La notizia spaventosa che troneggiava venerdì sera nei telegiornali (ieri ha piovuto, e l’assassino è scappato) era: «Il caldo fa due morti in Italia».

Il conduttore non ha specificato quanti l’alta temperatura dei missili ne abbia fatti a Odessa o a Gaza.

È bello notare che, almeno su questo punto, l’Europa è unita, dalla Finlandia alla Grecia. Il dibattito tra destra e sinistra ferve sui colpevoli della canicola e sulle armi idonee per sconfiggerla e costringerla a una pace giusta. In Francia non interessa più la discussione sull’ombrello atomico, se prestarlo o no alla Polonia, e alla Romania, lo scontro è tra i sostenitori dell’aria condizionata (per cui si batte la Le Pen: aria fresca per tutti)

e la sinistra che invece – trovando in Italia il consenso di Avs – ritiene i condizionatori concausa insieme al diesel dello scioglimento della banchisa polare e dell’infelicità degli orsi bianchi.

Proporrei un’inchiesta che nessuno fa. Il peggioramento del clima, questa danza degli elementi naturali quanto è influenzata dalle guerre con uso di armamenti balistici a combustibile misterioso? Non è che più che delle polveri sottili sia colpa delle polveri pesanti degli esplosivi, che se va avanti così saranno radioattivi?

Confesso di essere stufo e di partecipare da complice a questa colossale distrazione di massa.

L’ultima appena arrivata è sull’aumento delle tariffe autostradali che sarebbe dovuto scattare per un emendamento dal 1° agosto. Uno si chiede: raddoppieranno?

Aumenteranno del 50 per cento, dato il cancan messo su da Schlein e da Conte. Ma no: se fosse passato, l’aumento sarebbe stato di un euro ogni mille chilometri di percorrenza, quando la guerra diffusa o anche solo incombente tra i fiumi Don e il Tigri e l’Eufrate fa galoppare il prezzo dei carburanti.

Ma non si usa più parlarne, e neppure parlarci alla guerra, dirle basta. Eppure è la padrona. Invece di prenderla a calci e allontanarla quale ospite intollerabile, le potenze del mondo - e l’Italia, tra esse, è costretta ad adeguarsi – si sono rassegnate nel caso migliore, oppure vogliono che continui, tese a ricavarne un beneficio indiretto.

Persino Donald Trump cambia discorso. Aveva garantito che le avrebbe fermate tutte in un giorno, vasto programma direbbe De Gaulle. Il presidente americano si è impegnato, sarebbe idiota negarlo. Ha fatto valere il peso dell’essere tuttora la superpotenza egemone.

Risultato: Putin, Zelensky e Netanyahu è già tanto se non gli sbattono giù il telefono. La Cina ne gode.

Finché dura la guerra lontano dai suoi confini e dal Pacifico l’America e la Nato digrignano i denti contro la Russia, danno armi all’Ucraina, consapevoli che Putin può andare avanti due anni tranquillo ad ammazzare ucraini e farsi ammazzare russi e nordcoreani, e alla fine l’Ucraina sarà un deserto e il Mar Nero.

Come diceva Tacito del colore del Tevere durante le guerre civili, sarà rosso di sangue slavo.

Non sappiamo bene chi vincerà tra le parti in conflitto. Si semina il dubbio sull’esito qualche tempo fa scontato della guerra sul confine orientale dell’Europa. Lo fa trapelare l’amministrazione Trump, lo teme Pechino. Noi intanto abbiamo la Russia che sta diventando padrona dell’Africa, e soprattutto della Libia.

Con i missili putiniani schierati sul lato sud del Mediterraneo.

Insomma, un casino.

Bisogna cacciare la guerra dal nostro tavolo. Ne va della vita. Non è solo una ragione etica, ma di convenienza economica.

L’ospite schifoso e sgradito non è una zia innocua. È anche per noi, come si dice adesso, una minaccia esistenziale, che non è un aggettivo da cabaret berlinese sull’inutilità della vita, ma ne va del futuro. La guerra succhia sangue altrove, per ora, ma ci sta mettendo le mani nel piatto. Il riarmo, giustificato in linea teorica alla nostra difesa, avrà i suoi eventuali frutti di deterrenza così avanti nel tempo, da essere un lusso che non possiamo permetterci: soccomberemmo economicamente e politicamente, riducendoci a sudditi di Washington o di Berlino, con la consolazione per gli alti papaveri di riempire i magazzini di catorci del nuovo tipo adatti a essere sciolti dalle atomiche altrui.

Sono legittime tesi diverse. Ma io non mi muovo dal mio orrore primigenio per la guerra che a casa mia vuol dire morte, difesa e attacco come nel calcio sono la stessa cosa.

Avrei un’idea che mi permetto di suggerire a Trump.

Visto che l’unica guerra che sta vincendo a mani basse è quella dei dazi, perché non impone un dazio enorme sulla guerra, su tutte le guerre?

Una maximum tax , se non altro perché riscalda il pianeta e con tutte quelle bombe fa sciogliere i ghiacci. E se uno non paga, mandi i marines a riscuoterla. Altro che dazio sul prosciutto di Parma.

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