La lotta della Turchia allo stile di vita occidentale

La revoca del divieto di ascoltare musica dopo la mezzanotte nella provincia di Antalya è un’eccezione. La lotta all’Occidente e ai suoi valori continuerà ed è solo l’inizio

La lotta della Turchia allo stile di vita occidentale
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Il consiglio provinciale per la sanità pubblica di Antalya (Turchia) ha deciso di revocare il divieto di ascoltare musica dopo la mezzanotte, diventando così l’unica provincia della penisola ad aver abolito il divieto. La misura, introdotta nell'ambito delle restrizioni al coronavirus era stata fortemente voluta dal presidente Recep Tayyip Erdogan, che all'epoca aveva dichiarato: “Nessuno ha il diritto di disturbare gli altri di notte”. Fin dalla sua introduzione è stato chiaro che la regola fosse un pretesto per un ulteriore controllo governativo sulla vita del Paese, ma soprattutto la punta dell’iceberg di un rifiuto generalizzato dello stile di vita occidentale.

La Turchia di oggi è anti-occidentale

Il sismografo di questo rigurgito antieuropeo e anti-occidente si sintetizza con la rielezione del “sultano” Erdogan che, con i suoi 21 anni al potere, è diventato il leader più longevo della storia turca dalla prime elezioni libere e multipartitiche del 1950. La distruzione della politica occidentalista e laica voluta da Mustafa Kemal Atatürk, è stata fin dall’inizio la missione che ha animato Erdogan e i suoi sostenitori.

Il suo messaggio è sempre stato quello di porre al centro l’identità turca ottomana; basti pensare che nel 1994 quando correva per l’elezione a sindaco di Istanbul dichiarò in un comizio pre-elettorale “le moschee sono le nostre caserme, le cupole i nostri elmetti, i minareti nel nostre baionette e i fedeli i nostri soldati”; i versi, tratti dallo scrittore Ziya Gokalap, fruttarono al futuro sindaco 10 mesi di carcere con l'accusa di incitamento all'odio religioso. Una volta eletto vietò la vendita di alcol e si disse favorevole all’imposizione della sharia.

Il 78% dei turchi crede che i Paesi europei vogliano la distruzione della Turchia

I turchi risultano completamente allineati alla narrazione anti occidentale del suo leader infatti, uno studio sulla dimensione della polarizzazione in Turchia, rivela come il 78% della popolazione crede che i Paesi europei vogliano disintegrare la Turchia di oggi esattamente come fecero con l’Impero ottomano. Inoltre secondo il più recente sondaggio sulla percezione pubblica della politica estera solo tre Paesi vengono considerati amici della Turchia: Azerbaigian, Repubblica di Cipro del nord (la parte settentrionale di Cipro occupata dal 1974) e la Georgia. Il resto del mondo è visto come un nemico pericoloso a cominciare naturalmente dagli Stati Uniti e proseguendo con Israele. Ma anche l’Italia che favoreggia l’Egitto nel mediterraneo vendendogli fregate da guerra non è più nelle grazie del popolo turco.

Erdogan sta cavalcando magistralmente questa onda per suggellare il ricordo del centenario della Repubblica il 29 ottobre 2023. Già nel 2013, in vista di questa data, il leader turco promise “una grande nazione e un grande potere”. La stessa rappresenta solo una tappa intermedia rispetto al 2071, millesimo anniversario della battaglia di Manzicerta, dove in cui i turchi selgiuchidi dell’Asia centrale distrussero le armate dell’impero bizantino, cacciando i cristiani e rivendicando l’appartenenza islamica di quei territori che oggi costituiscono la base più intima della Turchia moderna.

Il presidente turco nel 2018 ha dichiarato: “Come sapete, noi siamo una cosa sola. Noi saremo grandi, vivi e fratelli. Solo tutti insieme saremo Turchia. E se siamo una cosa sola, con l’aiuto di Dio, cammineremo dritti verso il 2023, il 2053 e il 2071”

L'ambizione imperiale turca

L’ambizione turca di essere di nuovo grande potenza autocentrata passa per il rifiuto dell’Occidente e si riassume nel motto della campagna elettorale appena vinta da Erdoğan: “questo sarà il secolo della Turchia”. I divieti e l’abbandono degli stili di vita occidentali non raccontano tutta la storia, in Turchia bolle un sogno imperiale “Una nazione, una bandiera, una patria, uno stato, questo non è uno slogan, questi sono i quattro capidaldi della nostra esistenza." Un mantra che il sultano porta avanti da 20 anni e che ora comincia a vedere le sue manifestazioni fisiche.

Come diceva lo storico Johann Gustav Droysen, “ciò che oggi è politica domani è

storia”, e il sultano sta riavvolgendo il nastro in senso antiorario per ricondurre la Turchia al suo passato glorioso islamico e ottomano. Sicuramente lontano dall'Europa e dall'Occidente.

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