Che la linea del governo italiano sia filo -atlantica e pro Ucraina è circostanza su cui nessuno ha dubbi. Sia nell’opinione pubblica, sia ai vertici di tutte le diplomazie internazionali. A Giorgia Meloni, però, ieri mattina non ha fatto per nulla piacere incontrare il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, proprio mentre il suo vice premier, Matteo Salvini, ribadiva ancora una volta distanze profonde sull’approccio alla guerra tra Mosca e Kiev. Peraltro con una tempistica da cronometro, visto che le agenzie battono gli affondi del leader leghista su Emmanuel Macron («va curato, è pericoloso e se pensa alla guerra si metta lui l’elmetto, prenda una fionda e vada a combattere») solo una manciata di minuti prima che il capo dell’Alleanza Atlantica sfili davanti al picchetto d’onore nel cortile di Palazzo Chigi. Con un corollario non indifferente. La risposta alla crisi tra Mosca e Kiev, dice Salvini, «non è sicuramente mandare altre armi». Considerazione buttata lì nelle stesso ore in cui il Parlamento si prepara a esaminare- e approvare- il nono pacchetto di armi per l’Ucraina (tra cui anche i missili Storm Shadow e una batteria Samp-T). Il tutto mentre la Camera vota sulle missioni internazionali e il presidente della commissione Affari Ue di Montecitorio, il leghista Alessandro Giglio Vigna, si avventura nella stravagante idea di invitare in Parlamento l’ambasciatore francese in Italia per spiegare le «pericolose» parole di Macron.
Insomma, per alcuni minuti il cortocircuito sembra dietro l’angolo. Anche se c’è chi si prodiga per gettare acqua sul fuoco. «In un Paese democratico non è sbagliato avere una dialettica e comunque tutte le volte che abbiamo votato per sostenere l’Ucraina la maggioranza si è sempre mossa unitariamente», spiega il sottosegretario alla Difesa Matteo Perego di Cremnago. Ed è sostanzialmente questo l’argomento con cui Meloni derubrica con Stoltenberg la posizione di Salvini. Peraltro siamo in piena campagna elettorale e - è il senso del ragionamento - si sa come vanno certe cose. Che poi a Palazzo Chigi si sia aperta una riflessione sul cosa accadrà dopo il voto per le Europee è un altro discorso. Perché se davvero dovesse esserci una escalation del conflitto tra Russia e Ucraina, magari con il tentativo di Vladimir Putin di arrivare fino a Kiev, è del tutto evidente che la situazione rischia di diventare ingestibile. Già durante il summit del G7 in Puglia il 13-15 giugno (che Meloni presiederà), ancora di più dopo se la nuova Commissione nascesse proprio su una forte spinta atlantista e pro Ucraina.
Nell’ora di colloquio a Palazzo Chigi, la premier e il segretario della Nato affrontano sopratutto il fronte militare del conflitto. Sul tavolo resta il percorso che dovrà intraprendere l’Italia per arrivare al 2% del Pil di spese militari, ma Stoltenberg ringrazia Meloni per il nono pacchetto di aiuti, «inclusa la fornitura di un sistema di difesa aerea Samp-T con la Francia» e dice che «al momento Kiev ha sì chiesto più supporto» ma «non l’invio di truppe di terra». Ipotesi che non è in campo, ma neanche esclusa a priori. L’Italia ha inoltre firmato un accordo bilaterale sulla sicurezza con l’Ucraina, contribuendo a rafforzare le difese di Kiev, a sostenere la sua industria degli armamenti e a contrastare le minacce ibride.
Meloni, da parte sua, ha chiesto a Stoltenberg che nel summit Nato a Washington del 9-11 luglio si prendano «decisioni concrete» sul «fianco Sud» dell’Alleanza, perché con il progressivo irrobustimento militare a Est la cintura Grecia-Italia-Spagna rischia di essere il fronte più scoperto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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