
Caro Direttore Feltri,
vorrei un suo parere su una vicenda che, francamente, mi ha lasciato senza parole: mi riferisco alla decisione della Commissione Affari giuridici del Parlamento europeo, che ha respinto la richiesta di revoca dell'immunità parlamentare a Ilaria Salis, con un voto risicatissimo (13 a 12). A ottobre si voterà in plenaria, ma intanto mi domando: che idea di giustizia trasmette tutto questo?
Non è un po' troppo comodo candidarsi per sfuggire a un processo? E ancora più assurdo che un'istituzione come il Parlamento europeo diventi il rifugio dorato di chi, in passato, ha collezionato denunce e condanne per attacchi allo Stato?
Vorrei sapere da lei: è questa la democrazia che difendiamo?
Roberta Scotto
Cara Roberta,
no, non è questa la democrazia che difendiamo. Ma è, ahimè, quella che ci tocca vivere in questi anni di indulgenza rossa, in cui tutto si perdona, tutto si giustifica, purché si urli «antifascismo» e si sventoli la bandiera «giusta».
Il caso Ilaria Salis è l'ennesima vergogna di un sistema che si fa beffe della legalità, dello Stato e delle istituzioni. Ed è già abbastanza scandaloso che per sottrarre una persona a un regolare processo penale, processo, non plotone d'esecuzione, si sia cercato l'escamotage della candidatura politica, e si sia perfino riusciti a eleggerla, sfruttando il vittimismo ben confezionato e venduto da certa stampa ideologizzata.
Ma ciò che fa ancora più ribrezzo è che un organo autorevole come una commissione del Parlamento europeo abbia votato, seppur di un soffio, per mantenerle l'immunità, impedendo di fatto che la giustizia faccia il suo corso.
Il principio, che un tempo era sacrosanto, oggi sembra essere rovesciato: non si è più innocenti fino a prova contraria, si è intoccabili fino a che non conviene politicamente farvi fuori. E se la tua intoccabilità coincide con un certo schieramento, allora puoi anche prendere a sprangate un carabiniere, tanto troverai sempre qualcuno pronto a difenderti.
E no, non è un'esagerazione. La signora Salis non è un'operaia disgraziata accusata per errore. Ha collezionato precedenti per reati legati a violenza contro le forze dell'ordine, danneggiamenti, disordini pubblici. Un profilo oggettivamente antistatale, che nulla ha a che fare con la normale dialettica democratica. Qui non parliamo di idee, ma di aggressioni. Non parliamo di dissenso, ma di attacchi fisici a rappresentanti dello Stato.
Ora, a sinistra va di moda scambiare il manganello per uno strumento d'espressione politica. È il solito cortocircuito: si inneggia alla democrazia mentre si picchiano i poliziotti, si canta la libertà mentre si devastano vetrine. E quando si viene beccati con le mani nella marmellata, si tenta la scorciatoia della candidatura: diventare parlamentari per sfuggire alle manette. Non c'è nulla di nobile in tutto questo, ma solo un'astuta operazione di marketing ideologico.
E lo dico con disprezzo ma non con sorpresa. Questa è la sinistra post-ideologica, che non difende più il lavoro, il popolo, la giustizia sociale, ma solo se stessa e i propri figliocci, anche quando quei figliocci aggrediscono, spaccano, incendiano, purché tutto ciò sia fatto «contro il fascismo» (che però nessuno riesce mai a indicare con nome e cognome).
Però attenzione: se concediamo l'immunità a chi si è sempre fatto beffe della legalità, non stiamo solo tradendo lo spirito delle istituzioni europee, ma stiamo dicendo chiaramente che la democrazia può essere usata come scudo per eludere la giustizia. E questo, cara Roberta, non è più democrazia: è il caos travestito da diritto.
L'Italia dovrebbe pretendere, a gran voce, che chi sbaglia paghi, senza scappatoie né immunità di comodo.
Perché il Parlamento non è una Ong per riciclare militanti estremisti, ma dovrebbe essere l'espressione più alta del rispetto delle regole. Chi disprezza lo Stato, lo aggredisce e ne odia i simboli non dovrebbe sedere tra i suoi rappresentanti.