Politica internazionale

Lo "spirito di Pratica di mare" e la geopolitica del Cav

Silvio Berlusconi ha fatto della politica estera uno dei suoi capisaldi. Una diplomazia fatta di alleanze strategiche e rapporti personali, condita dalle sfide a certi dogmi politici e caratterizzata da un profondo legame con gli Stati Uniti e l'Europa

Lo "spirito di Pratica di mare" e la geopolitica del Cav

La fine della Guerra Fredda, la nuova Russia dalle ceneri dell'Unione Sovietica, la guerra al terrorismo, i conflitti in Afghanistan e Iraq, l'allargamento dell'Unione europea e della Nato, l'attacco alla Georgia, le prime grandi crisi sistemiche, e, all'orizzonte, la Primavera araba e le rivolte nella sponda sud del Mediterraneo.

La politica estera di Silvio Berlusconi, fatta di alleanze strategiche ma anche di legami eminentemente personali, si è inserita in un contesto di grandi cambiamenti geopolitici. Un continuo movimento tellurico che ha interessato l’estero vicino e quello lontano, e in cui l'Italia ha intessuto una trama diplomatica ancorata all'asse euro-atlantico ma con una certa propensione sia verso la sponda sud ed est del Mediterraneo sia con il dialogo con Mosca. Una scelta difficile e non priva di rischi, in cui Berlusconi, facendo leva sui rapporti tra blocchi e sulla sua personalità, ha inciso mettendo spesso in atto una politica eterodossa, ma non per questo estranea alle tradizionali alleanze e amicizie.

L'amicizia con gli Stati Uniti

Tra queste ultime, centrale quella con gli Stati Uniti, con cui Berlusconi, "figlio" dell'Italia post-bellica e al governo in una fase caratterizzata dalla visione unipolare Usa nel mondo, è sempre stato profondamente legato. Una strada che, a differenza di quanto accade oggi in Europa dopo l'invasione russa dell'Ucraina, non appariva così semplice e scontata. Tra gli Anni Novanta e i primi Duemila, il Vecchio Continente era contraddistinto da posizioni critiche riguardo la politica estera atlantica, e questo si vedeva soprattutto ad altissimo livello. Era un'epoca in cui i leader di Francia, Germania e Spagna, da sinistra, criticavano con toni aspri le mosse di Washington, puntando spesso su una via anche di opposizione a certe dinamiche. Berlusconi, legato dall'amicizia con George W. Bush ma non solo, fu un fermo sostenitore della postura atlantica dell'Italia, al punto che il Paese fu in prima linea nelle missioni in Afghanistan e Iraq, diventando centrale anche nel sistema della Nato.

Il Cavaliere, a conferma di questa sinergia, fu ricevuto al Congresso degli Stati Uniti per parlare di fronte ai rappresentanti Usa in sessione plenaria. E questo atto, insieme ai vari attestati ricevuti sia da parte repubblicana che democratica, ha confermato un legame solido. E questo nonostante la sua politica estera fosse spesso diversa da quella voluta da alcuni apparati Usa, spesso perplessi dall’agenda berlusconiana e dalle modalità con cui ciò avveniva.

Il sogno (sfumato) di integrare la Russia nell'Occidente

A questo proposito, fondamentali furono i rapporti con la Russia. Criticato per l'amicizia costruita negli anni dei suoi esecutivi con il presidente Vladimir Putin, Berlusconi, sin dalla sua prima esperienza di governo, ha perorato la causa dell'apertura dell'Occidente verso Mosca.

Nel solco di una tradizione iniziata dalla Prima Repubblica e confermata anche dai governi con cui si è alternato di diversi colori politici, il leader di Forza Italia ha sostenuto i legami tra Italia e Russia promuovendo accordi sul fronte energetico (tra cui il sogno infranto del gasdotto South Stream) e rilanciando partnership di natura commerciale tra aziende di entrambi i Paesi.

Un rapporto che, come preventivabile, ha spesso impensierito Washington e gli alleati Nato più intransigenti, ma che non ha mai fatto venire meno l'asse con gli Stati Uniti. Questo è potuto avvenire anche perché questa tendenza a volere portare Mosca verso ovest andava di pari passo con le aperture di credito fatte dalla maggior parte delle potenze Ue verso il Cremlino, a cominciare da quella tedesca prima con Gerard Schroeder e poi con Angela Merkel. E perché anche Putin - poi anche Dmitri Mevdeved - sembrava ancora affascinato dalle sirene occidentali nella sua prima fase di potere.

Il Cav e la strada di Pratica di Mare

Questa volotnà di equilibrio e sinergia – certamente molto difficile e ambiziosa - ebbe come suo massimo punto di riferimento il vertice di Pratica di Mare del 2002. Il summit nella base dell'Aeronautica Militare alle porte di Roma produsse un documento, il "Nato-Russia Relations: A New Quality", che pose nero su bianco gli auspici di un nuovo rapporto di fiducia tra Occidente e Russia.

I tempi, del resto, sembravano maturi. Mosca si stava riprendendo dal crollo dell'Urss, Putin non appariva come il leader che è oggi, la guerra al terrorismo aveva unito il mondo e gli Stati Uniti, vincitori della Guerra Fredda, avevano concesso alla Federazione una certa libertà di manovra convinti forse della veridicità della "fine della Storia" e dell’idea del mondo unipolare. In questo processo, l'amicizia di Berlusconi con Putin e Bush fu certamente importante per premiare l'Italia con la firma di quell'accordo.

Col senno di poi, evidentemente, Pratica di Mare appare come un summit di grandi ambizioni rivelatesi eccessive rispetto alla realtà geopolitica. Tuttavia, il deterioramento dei rapporti tra Russia e Stati Uniti è stato un complesso meccanismo di azioni e reazioni di cui di certo non fu responsabile quel vertice, che anzi doveva essere l'inizio di una stagione di progressiva integrazione della Russia post-comunista con il blocco occidentale.

Dalla guerra in Georgia a quelle in Siria e Libia fino all'annessione della Crimea e l'invasione dell'Ucraina, Mosca e Washington hanno dimostrato totale divergenza nei rispettivi piani. Tornando a riconoscersi come nemici strategici e sotterrando il cosiddetto “spirito di Pratica di Mare” sotto una coltre di guerre e politiche culminate con l'invasione scatenata a febbraio del 2022.

Berlusconi e il patto con la Libia

Il Medio Oriente e il Nord Africa sono stati altri palcoscenici della politica estera del Cavaliere. Da presidente del Consiglio, Berlusconi ha intessuto una fitta trama di rapporti, anche in questo caso personali, con i leader dello scacchiere regionale. Per la maggior parte degli osservatori, in questo contesto Berlusconi è diventato soprattutto l’uomo della (criticata) amicizia con Muhammar Gheddafi e dell’accordo con la Libia prima che la guerra facesse cadere il regime e lasciasse il Paese nel caos.

Il patto tra Roma e Tripoli su gas, migranti e infrastrutture è considerato ancora oggi un elemento-chiave per comprendere le dinamiche regionali e le conseguenze dell’anarchia militare nate della guerra civile nel Paese nordafricano.

L'amicizia con Israele e le aperture alla Turchia

Berlusconi è stato anche il presidente del Consiglio dell’amicizia con l’Egitto, con gli attori principali dell’Africa settentrionale – tra cui Algeria e Tunisia - e soprattutto l’artefice di due partnership blindate proprio durante la sua presidenza: quella con Israele e quella con la Turchia. Anche in questo caso, si trattò di una scelta non così scontata come può apprire oggi. L’Italia, negli anni della Prima Repubblica, si era contraddistinta per una politica anche filoaraba, mentre il leader di Forza Italia ha segnato uno spostamento di asse verso i due più importanti Stati non arabi della regione (insieme all’Iran).

Con Israele, il legame è stato certificato non solo dalle forti convinzioni personali e culturali del Cavaliere, ma anche dall’invito rivolto a Berlusconi come primo premier italiano a parlare alla Knesset, cuore della democrazia dello Stato ebraico. Con la Turchia, invece, essenziale la sua amicizia con Recep Tayyip Erdogan, che venne trasformata nel tempo in una solida partnership commerciale e strategica al punto che Berlusconi è più volte intervenuto per mediare tra le richieste del leader turco e gli alleati Nato o l’Unione europea, fino a essere invitato al matrimonio del figlio del “Sultano” come testimone.

Le radici cristiane dell'Europa e i Balcani

Proprio sul fronte europeo, Berlusconi, che ha voluto a ogni costo Forza Italia nell’alveo del Partito popolare, ha incentrato la sua diplomazia su un continuo equilibrio fatto di critica, autonomia di giudizia ma anche radicamento del sentimento europeista. Da presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi ha sfidato una certa ideologia che ha caratterizzato per diverso tempo l’Ue, perorando ad esempio il tema del riconoscimento delle radici cristiane dell’Europa. Una presa di posizione che lo univa alla spinta culturale del pontificato di Giovanni Paolo II e poi di Benedetto XVI ma che fu contrastata da diversi governi fino poi all’affondamento della stessa idea di costituzione europea e quindi dell'inserimento di questa clausola.

D’altro canto, Berlusconi è stato anche l’artefice di una rinnovata spinta propulsiva verso un pieno partenariato di Ankara con l’Ue – tema anch’esso molto divisivo - e verso l’ampliamento dell’Ue nei Balcani occidentali. Un allargamento che solo ora, dopo quasi due decenni dalle prime iniziative, inizia a vedere davvero la luce. Tutto questo, mentre le spinte centrifughe dall’Europa iniziavano a farsi più forti e si intravedevano i prodromi delle grandi crisi finanziarie e di quello spettro dello spread che ha colpito anche la sua storia politica, diventando un enorme banco di prova per gli equilibri dell’Eurozona. Già all’epoca, i difetti sistemici di Bruxelles, tra cui l'eccessivo riichiamo all’austerità, il peso della burocrazia e il deficit democratico, erano stati palesati da Berlusconi e dagli alleati di centrodestra, consapevoli che l’Ue non si sarebbe salvata facendo leva solo su un’essenza di blocco finanziario e intransigente.

Gli attacchi e le ammissioni

Queste sfide culturali ma anche politiche, unite alla personalità molto diversa da quella di tanti leader Ue, hanno spesso innescato pesanti critiche nei confronti di Berlusconi che nel tempo, specialmente su alcuni dossier, si sono rivelate poi errate. Molti avversari hanno dovuto ammettere, soprattutto nel corso degli ultimi anni, la bontà di alcune scelte dell'allora presidente del Consiglio, soprattutto comprendendo la complessità delle manovre che vedevano l'Italia esclusa per scelta strategica o colpita da interessi divergenti anche tra alleati.

Coperte da una forma di condanna a priori ideologica o personale, molte azioni di Stati partner o di leader poi caduti politicamente in disgrazia si sono rivelate frutto di calcoli che solo per gioco politico furono addebitate alla figura del Cavaliere. Una personalità apparsa divisiva, non esente - come chiunque - da critiche o anche autore di scelte che egli stesso, dopo anni, ha ammesso con un certo dolore di avere sbagliato.

Ma il tempo, come sempre, si è dimostrato spesso galantuomo, offrendo un quadro ben più complesso della diplomazia italiana e, in particolare, di quella di Berlusconi.

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