Lunica cosa che destra e sinistra riescono davvero a condividere è il masochismo. Il tafazzismo è bipartisan. Forse questo è lapprodo naturale di un Paese dove la politica ha abdicato al suo ruolo, delegando le controversie del potere alla magistratura, agli scandali, al gossip, ai poteri forti e a quelli occulti. Il risultato è che le coalizioni e ciò che resta dei partiti mandano in scena ogni giorno uno spettacolo da «facciamoci del male», con tanto di manuale sul come tagliarsi le vene e gli attributi in 365 modi diversi. Uno al giorno, tanto per dare una ragione di vita a quotidiani e talk show.
Comincia il Pdl, che quando vuole sa perfettamente come regalarsi botte in testa. Prima fa di tutto per perdere le elezioni pasticciando con le liste e i panini, poi dilapida il mezzo miracolo di Berlusconi annacquando la vittoria con lo psicodramma della scissione. Fini e i finiani, in rotta con il berlusconismo, non scelgono di cambiare casa, ma restano in bilico sulla soglia, ripetendo una sorta di cantilena snervante: attenti che ce ne andiamo. Se è voluta, è una forma di boicottaggio sublime. In un attimo non si parla più di riforme e di come governare nei prossimi tre anni, ma si parla solo e soltanto di cosa faranno gli scissionisti. Il risultato è che il governo non governa, la maggioranza si ritrova in crisi didentità, lo spettro del governo tecnico volteggia nellaria, si potrebbe andare al voto ma tutti hanno paura e il Pdl forte del dopo regionali appare debole e debilitato.
Magari è un caso, ma i guai giudiziari arrivano proprio in questa situazione con le difese immunitarie abbassate. È qui che vengono fuori le debolezze degli uomini. Scajola vede la sua carriera politica sprofondare sotto una valanga di assegni e alla fine in lacrime è costretto a dimettersi, lasciando vuota la poltrona di un ministero importante che apre una guerra di successione. Nuovi veleni, nuove trame, nuovi veti incrociati. Ci vuole una fantasia autolesionista molto sviluppata per rovinare in un mese il lavoro di anni. Berlusconi, che era riuscito a resistere alle bordate dei nemici esterni, deve ora preoccuparsi di una situazione paradossale creata dal suo stesso partito. È come vincere quattro a zero alla fine del primo tempo e poi improvvisare una serie di autogol e espulsioni a catena. Nel calcio si sarebbe detto che la squadra si è venduta la partita. In politica è la vittoria degli egoismi. Ora si cerca di fare la pace, ma le cicatrici restano e il danno è fatto.
Fortuna che cè il Pd, che negli ultimi decenni sul vizio del cilicio e della frusta ha costruito la sua filosofia di vita. La maggioranza è in crisi? Cè aria di divorzio? Unopposizione con un minimo di buon senso avrebbe sfruttato questo regalo inatteso. Troppo facile. Che fa il Pd? Imita, insegue, si adegua e per flagellarsi sceglie il convento di SantAgostino a Cortona. Il cilicio diventa un simbolo. Franceschini si veste da Fini e dice a Bersani che «o si cambia o si rompe». Veltroni polemizza col segretario sulle alleanze «senza vocazione maggioritaria non abbiamo senso» e sulla forma di partito «no a 'Cln', dobbiamo avere orgoglio». La Sereni, vicepresidente del Pd, parla come Bocchino: «Vogliamo unità ma serve riconoscimento reciproco». E la Serracchiani esagera: «Fini dice le cose che dovremmo dire noi». A questo punto uno si chiede: invidia? Spirito di emulazione? Conformismo? Magari nel Pd sono rimasti così sorpresi da quello che sta accadendo dallaltra parte che subodorano qualche mossa segreta. Dovè il trucco? Ormai allo sbando e senza uno straccio di strategia pensano: quelli ci vogliono fregare, ma noi siamo furbi e seguiamo esattamente tutto quello che fanno. Perversi. Oppure hanno una tale paura di andare di nuovo al voto che sono pronti a salvare il governo sacrificando lopposizione. Ma questo è ancora più perverso.
Tutto questo tafazzismo non sarebbe un gran problema.
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